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Intervista ad Elly Schlein, il volto della nuova sinistra

Elly Schlein ha 28 anni ed è europea per nascita e vocazione. Nata a Lugano da madre italiana e padre americano, si è laureata a pieni voti in Giurisprudenza a Bologna, dove vive da tempo. Ha studiato quattro lingue e durante l’università è attiva nell’associazionismo sui temi dell’immigrazione e del carcere. Da sempre si occupa anche di cinema, e nel 2012 lavora al documentario Anija – La Nave, premiato con il David di Donatello 2013. Sul versante politico, è volontaria per entrambe le campagne presidenziali di Obama. Nell’aprile 2013 dà vita con molti altri alla mobilitazione OccupyPD, dalla quale nascono 102 proposte per la rinascita politica di un vero centrosinistra. Dopo le primarie per la segreteria PD, al fianco di Civati, è eletta in Direzione Nazionale. Da candidata alle elezioni europee sta facendo una “campagna collettiva”, fatta a piedi e per strada, in mezzo alla gente, per raccontare l’Europa che non dicono e l’Europa che vogliamo.

Elly, anche io so scrivere il tuo nome “SCHLEIN”, come hai pensato di lanciare questo Hashtag? 

Quando in molti hanno cominciato a chiedermi di candidarmi alle Europee, ho subito detto loro: “siete pazzi, con un nome così.” L’hashtag l’ho lanciato per caso durante l’Assemblea Nazionale in cui è stata ufficializzata la lista. Chi stava leggendo i nomi è scivolato sul mio, e da lì è nato #iososcrivereSchlein. Che poi è diventato #siscriveSCHLEIN, si legge sostenibilità, si legge diritti, si legge parità di genere, si legge lotta alle diseguaglianze. E in molti hanno cominciato a mandarci foto da tutta Italia (e non solo) con il cartello #iososcrivereSCHLEIN. È un nome che ha anche una sua storia europea. Mi deriva da mio nonno paterno, che partì nei primi del ‘900 da un paesino dell’attuale Ucraina verso gli Stati Uniti dove sull’isola di Ellis Island gli cambiarono il cognome in Schlein. Poi purtroppo perse durante la seconda guerra mondiale tutta la famiglia rimasta in Europa. E questo mi ricorda perché l’abbiamo fatta, l’Europa. Per uscire dalle tragedie del ‘900 e dare pace e stabilità a un continente che si era sempre saputo fare solo la guerra.

Giovane, donna e “social”. Le interviste che ti hanno fatto si concentrano su questi temi. Che significa per te essere una giovane donna che spopola nei social media impegnata nella campagna elettorale per le europee?

La nostra, quella cresciuta a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, è una generazione cresciuta insieme all’Europa, quando ancora si vedevano le bandiere, c’era entusiasmo, c’erano i Giochi senza Frontiere. Ci siamo risvegliati grandi in un incubo: quello di vedere il disegno iniziale incagliato a metà. L’Europa non l’abbiamo mai fatta davvero, è mancato il coraggio politico di fare seguire al mercato unico e alla moneta unica la vera integrazione, ed è prevalso l’interesse egoistico dei singoli Stati. Io credo che anche la nostra generazione, proprio perché cresciuta interiorizzando una mentalitâ più europea, debba prendersi la responsabilità di portare a compimento quel disegno iniziale rimasto a metà. Un’Europa sociale, dei diritti, che desse più opportunità e non certo meno a noi e chi verrà dopo di noi.

Che effetto ti fa essere una candidata per le elezioni europee? Tra pochi giorni potresti essere una delle eurodeputate più “pop” d’Italia.

Io più che “pop” sono un po’ indie, diciamo che non mi sarei mai sognata di candidarmi a nulla nella vita. Ci siamo avvicinati alla politica quando in tanti, dopo i 101  e le OccupyPD, abbiamo capito che l’unico modo per cambiare le cose è metterci in gioco direttamente, ed essere il cambiamento che vogliamo per il nostro partito, per il Paese e anche per l’Europa. Con quello spirito che è sempre stato di appassionarci alle battaglie e di farle insieme, in modo condiviso, ci siamo buttati in questa #campagnacollettiva. Fatta per strada e a piedi tra la gente proprio per recuperare l’ascolto che in questi anni alla politica è mancato.

Tanti sono i temi che l’Europa dovrebbe affrontare, quali sono quelli su cui stai basando la tua campagna?

La prima sfida europea è quella del cambiamento climatico. Lo dobbiamo solo al Parlamento europeo se abbiamo degli obiettivi vincolanti per gli Stati in tema di riduzione delle emissioni di Co2 e di passaggio alle energie rinnovabili. Dobbiamo ripensare i nostri modelli di sviluppo e di consumo, uscendo dalla mentalità per cui la green economy è una cosa di nicchia. Non lo è, e secondo le stime può dare lavoro a 3 milioni di persone nel corso dei prossimi anni. Lo stesso vale pare la cultura, ci hanno detto per anni che con la cultura non si mangia ma nel frattempo ci siamo mangiati la nostra cultura. E vediamo cadere a pezzi le nostre bellezze, che sono invece proprio ciò che dovremmo saper valorizzare per ripartire con un’economia e un turismo finalmente sostenibili. Altri temi sono poi i diritti LGBT, i diritti dei migranti e la parità di genere, in un’Europa che non è ancora a misura di donna. Infine, la lotta alle diseguaglianze e alla criminalità economica: evasione e corruzione sono sfide non solo italiane ma europee, e a quel livello possono essere contrastate in modo ancora più efficace per recuperare risorse da dedicare all’economia sana.

Ho posto questa domanda anche ad altri tuoi colleghi e competitors: che cosa è per te l’Europa, che significato le attribuisci e perché è importante, oggi, andare a votare.

È fondamentale andare a votare, anzitutto perché c’è chi ha sacrificato anche la vita per permettere a noi di partecipare democraticamente. E poi perché ormai dall’Europa passa il 70% della normativa nazionale, perché è la dimensione che ci permette di essere attori sulla scena internazionale. In un mondo che si riassetta sempre più su grandi potenze e grandi assi, l’idea di rifugiarsi nei ristretti confini degli Stati nazionali o addirittura nell’indipendenza del Veneto mi sembra antistorica. La sfida è un’altra: è riuscire a farla davvero, quell’Europa che è mancata. Abbiamo fatto mercato unico e moneta unica ma abbiamo ancora 28 politiche economiche e fiscali troppo diverse, e su questo bisogna lavorare. Così come per avere una voce sola, e più forte, in tema di politica estera. Se la smettessimo di far prevalere gli interessi dei singoli Stati dell’Unione, e ci sentissimo finalmente comunità, avremmo senz’altro tutt’altro ruolo sullo scenario internazionale, e potremmo fare da guida verso un nuovo modello di sviluppo e di consumo che sia finalmente sostenibile. Lo dobbiamo a chi verrà dopo di noi.

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