Il decreto Poletti n. 34 è stato convertito in legge n. 78. Il primo tassello del grande puzzle del Jobs Act è stato posizionato. Ora è il momento della legge delega che si occuperà di “disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive” come titola il ddl n. 1428 presentato al Senato. Al momento il testo è in analisi in Commissione lavoro al Senato e non è ancora stata calendarizzata la discussione in Aula. Per questo motivo non sono noti né i tempi di approdo al Senato né tantomeno quelli dell’approvazione definitiva. A sentire le dichiarazioni di Matteo Renzi si potevano ipotizzare tempi lunghi ma il ministro Poletti, forte del risultato elettorale, ha annunciato martedì che verranno accelerati i tempi e la delega sarà approvata entro la fine dell’anno.
I recenti risultati elettorali fanno pensare ad un iter sostanzialmente tranquillo. La forte legittimazione popolare che Renzi può vantare sarà utilizzata per confermare e rafforzare la linea politica di Poletti a fronte dei possibili attacchi della minoranza Pd che ha la maggioranza nella Commissione lavoro della Camera. I partiti di maggioranza dovrebbero essere compatti intorno al testo della delega, prova ne è che il relatore del ddl in Commissione è proprio il presidente della stessa Maurizio Sacconi di Ncd.
Interessante sarà anche come cambierà il rapporto tra Renzi e i sindacati che, attaccati da un premier premiato con il 40% dei voti, per proprietà transitiva, non si sentono certo in una posizione di particolare popolarità.
Il primo aspetto da affrontare è quello degli ammortizzatori sociali. Il testo del ddl divide i provvedimenti in strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro e quelli in caso di disoccupazione involontaria. Nel primo caso la linea del governo è di limitare l’utilizzo della cassa integrazione prevenendo il suo abuso. In questo senso vanno lette le disposizioni che indicano di utilizzare la cassa integrazione solo in caso di “esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro” e l”impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione dell’attività aziendale”. Rispetto ai casi di disoccupazione involontaria il disegno del governo è quello di includere nelle tutele previste dall’ASpI anche i co.co.co. e allo stesso tempo di eliminare il requisito dello stato di disoccupazione per accedere ai servizi assistenziali.
D’uguale importanza è l’art. 4 che include al suo interno la delega a sperimentare nuovi istituti come l’ormai pluricitato contratto di inserimento a tutele progressive. Su questa nuova tipologia sembrano convergere le diverse componenti politiche della maggioranza di concerto con le rappresentanze sindacali che, in ultimo al Congresso Cgil di Rimini, si sono dette favorevoli. Questo contratto è citato anche nell’incipit della nuova legge n. 78, anche se leggendo il testo sembra che il nuovo istituto si sommerà a quelli già esistendo. Non proprio in una logica di semplificazione.
Il secondo articolo si occupa di politiche attive ed è complementare all’art.1 contribuendo, pare, ad immaginare un modello di politiche del lavoro che, come ci “obbliga” a fare il programma Garanzia Giovani, dovrà orientarsi sull’occupabilità delle persone e meno sui sussidi. Per questo attraverso l’istituzione di una Agenzia nazionale per l’occupazione si vogliono potenziare le politiche attive attraverso la collaborazione tra servizi pubblici e privati.
L’art. 3 presenta tutta una serie di indirizzi volti alla semplificazione della normativa e della burocrazia lavoristica italiana. In questo senso non possiamo leggerlo senza rimandare al Codice semplificato del lavoro presentato, sotto forma di disegno di legge, da Pietro Ichino e Michele Tiraboschi. Questo potrebbe diventare lo scheletro del decreto governativo a riguardo.
Quella della delega, ma ancor di più dei decreti che seguiranno, è l’occasione per Renzi e Poletti di mostrare che quello che manca in Italia non sono nuove leggi ma una precisa idea del lavoro che faccia da filo conduttore tanto degli aspetti economici quanto di quelli sociali. E nessuno potrà dire che questa non era la volta buona.
Francesco Seghezzi, ADAPT Research Fellow