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La mia agenda per il G7 Energia. Parla Alberto Clò

I rapporti fra Europa e Russia, i rischi per l’Italia, le divisioni dell’Ue, le auspicabili relazioni fra Europa e Stati Uniti, le priorità italiane per il prossimo G7 Energia che si svolgerà a Roma.

Ecco i temi affrontati in una conversazione con Formiche.net da Alberto Clò, uno dei massimi economisti esperti di energia, già ministro dell’Industria ed ex consigliere di amministrazione dell’Eni, oggi supervisor del Rie (Ricerche industriali ed energetiche) e direttore responsabile della rivista Energia.

Primo di una serie approfondimenti di Formiche.net sul G7 Energia e a latere del seminario organizzato dal Centro Studi Americani e da Formiche per il 5 maggio.

Professor Clò, quali effetti per l’Europa e l’Italia possono prodursi nel caso si incancreniscano i rapporti con la Russia per la Crimea?

Le conseguenze di un precipitare della crisi ricadrebbero su entrambi i ‘fronti’, anche se in modo asimmetrico tra breve e lungo termine. Se nell’immediato a rimetterci sarebbe soprattutto l’Europa, anche se l’economia russa ne soffrirebbe, nel lungo le cose andrebbero peggio per la Russia. Se l’interruzione delle forniture dovesse perdurare solo una qualche settimana, non vi sarebbero per l’Europa molti problemi. Se dovesse protrarsi sino ed oltre il prossimo inverno, la situazione potrebbe diventare molto critica. Eventualità che penso poco probabile, ma cui bisognerebbe sin d’ora trovarne i rimedi. Cosa cui non mi sembra Bruxelles stia pensando.

E quali sono in particolare i rischi per la Russia?

I costi della crisi potrebbero essere ancor più pesanti per Mosca nel lungo termine, perché si rimetterebbero in discussioni i progetti che si vanno realizzando dalla Russia verso l’Europa (che ne sarebbe del South Stream?); si accelererebbero progetti  alternativi di rifornimento dell’Europa (dall’area azera o medio-orientale); si ridurrebbero le resistenze negli Stati Uniti ad autorizzare esportazione di metano verso l’Europa. In sintesi: nel lungo termine si ridisegnerebbe la geopolitica dell’energia, attenuandosi il ruolo della Russia come fornitore primario dell’Europa sia di petrolio che di metano.

In quanti blocchi di Paesi si divide di fatto l’Europa nei confronti della Russia per l’energia?

Sono tre i blocchi che dividono e paralizzano l’Europa. Primo: i Paesi che dipendono poco o nulla dal metano russo, in primis  Gran Bretagna, pronti a far la voce grossa con Mosca, ma da sempre indisponibili a condividere le loro risorse di idrocarburi col resto d’Europa. Secondo blocco: i Paesi che vi dipendono ampiamente, in primis Germania (2013: 43% totale import, 37% consumi) e Italia (2013: 49% totale import, 43% consumi), con contratti a lungo termine che non possono stracciarsi da un giorno all’altro e che hanno con Mosca ampie cointeressenze economico/finanziarie. Infine il terzo blocco: i Paesi del Nord-Est, specie le ex-repubbliche sovietiche, che vi dipendono quasi totalmente, come Lituania, Polonia, Estonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, che stanno facendo di tutto pur di sottrarsene. Una diversità di situazioni, interessi, posizioni che replica esattamente quella vissuta all’indomani dell’intervento militare della Russia in Georgia nel 2008. Ma la forza del Cremlino è lo specchio della latitanza e debolezza dell’Unione, nella sua assoluta incapacità ad elaborare in tema di “sicurezza energetica” un qualsiasi disegno strategico che individuasse un punto di convergenza degli altrimenti contrastanti interessi tra gli Stati membri e tra questi ed i paesi fornitori.

E come si può ridurre l’interdipendenza fra Europa Russia dal punto di vista energetico?

Europa e Russia sono legate da una duplice simmetrica “dipendenza energetica”, oltre che da relazioni industriali, commerciali, finanziarie sempre più strette in altri settori. Da un lato, la dipendenza dell’Europa dalle forniture russe di metano: circa un terzo del suo intero consumo, veicolate per la metà attraverso l’Ucraina. Dall’altro lato, la dipendenza della Russia dalle esportazioni di metano e di petrolio verso l’Europa, che rappresentano oltre il 70% delle sue complessive esportazioni. Non ritengo che questa interdipendenza debba essere ridotta, ma semmai governata dalla politica, quel che non  si è riusciti a fare nonostante il progressivo deteriorarsi delle relazioni politiche tra Russia e Ucraina. L’Europa ancora una volta è mancata o è stata contraddittoria nei suoi comportamenti. In particolare, sostenendo contemporaneamente due progetti di gasdotti che avevano motivazioni radicalmente opposte: il Nord Stream (voluto da Germania e Russia) che rafforzava i rapporti con la Russia e il progetto Nabucco (poi defunto) che doveva ridurla. Ebbene Bruxelles ha valutato entrambi i progetti di “interesse prioritario europeo”!

Ma finora per l’Italia ci sono stati secondo lei più vantaggi o svantaggi nei rapporti con la Russia?

Premesso che il metano lo si compra dove c’è e non dove si vorrebbe che fosse, le relazioni industriali e commerciali con la Russia, che risalgono agli anni di Mattei, hanno portato sicuramente reciproci vantaggi. In alcun momento, anche negli anni della Guerra Fredda, gli affari sono stati condizionati dalla politica. Poi la Russia si è dimostrata sempre un fornitore affidabile. Da qui la continuità e il consolidamento delle relazioni Italia-Russia supportate da tutti i governi che si sono seguiti negli ultimi decenni ed i contratti di lungo termine di fornitura. Lamentarsene oggi, magari avendole ieri supportate, dà conto una volta di più dell’incapacità della politica (ma anche di molti osservatori) ad avere in campo energetico una consapevolezza della situazione nella sua interezza e delle scelte che si fanno o si dovrebbero fare.

Che tipo di agenda comune ci può essere fra Usa e Ue?

Penso che per favorire la via della diplomazia, l’Occidente debba giocarsi le carte di cui dispone anche in campo energetico. Assumendosi precisi committment che lo vincolino ad un corso di azioni, qualora la situazione dovesse incancrenirsi ulteriormente e sopportandone anticipatamente il costo, così da renderne credibile la minaccia verso la Russia. Impegni che Washington e Bruxelles dovrebbero congiuntamente assumere in una ‘dichiarazione di intenti’ che preveda un’agenda di azioni, tra cui: l’autorizzazione degli Stati Uniti all’esportazione di metano verso l’Europa;  la ferma decisione di Bruxelles di applicare al gasdotto South Stream  le regole europee, sospendendo ogni deliberazione sulla richiesta di esentarlo dall’obbligo di accesso a terzi; l’impegno europeo a realizzare linee transfrontaliere di trasporto del metano così da accrescere la capacità di riserva a disposizione dei diversi Stati; l’adozione di meccanismi di solidarietà verso Stati membri che siano colpiti da riduzioni delle forniture di metano; realizzazione di nuove infrastrutture di importazione del metano da paesi extra-Russia con carattere di “interesse prioritario europeo” (vedi TAP verso l’Italia); aumento della produzione europea di metano da risorse sia convenzionali che non (shale gas). Di fronte ad un simile ‘pacchetto’ di impegni vincolanti Vladimir Putin dovrà attentamente valutare la convenienza a non perseguire la via diplomatica per la risoluzione della crisi ucraina.

Quali sono secondo lei le priorità per il G7 Energia che si svolgerà a Roma il 5 e il 6 maggio?

Primo: aver consapevolezza degli interessi in gioco, spesso divergenti, all’interno del G7. Secondo: individuare un punto di convergenza di questi interessi, pervenendo ad impegni concreti  nei loro rapporti e verso la Russia. Il G7 dovrebbe aver soprattutto presente che una sua incapacità di pervenire ad una qualche concreta decisione – e non solo ad un vago comunicato finale – finirebbe per rafforzare la posizione negoziale della Russia, che avrebbe la più netta dimostrazione della debolezza e delle divisioni dell’Occidente.

E l’Italia che ruolo può e deve avere in questa agenda?

Sarebbe importante, in primo luogo, che l’Italia si chiarisse le idee al suo interno. Pervenendo, ad esempio, alla determinazione di ritenere non più sopportabile l’opposizione pregiudiziale di ogni comunità locale ad ogni azione, progetto, decisione che riduca la nostra endemica vulnerabilità energetica. Là dove sono in gioco interessi nazionali, politici ancor prima che economici,  si impongano le decisioni: si tratti del gasdotto TAP che potrebbe veicolare gas azero o della valorizzazione delle nostre abbondanti risorse metanifere con la possibilità di raddoppiare in pochi anni la nostra produzione. Che credibilità può mai avere l’Italia all’interno del G7 nell’indicare agli altri cosa fare se è la prima ad esserne incapace?



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