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Le quattro Europe

Cercavo l’Europa. Disadorno e umile, come un novello Diogene, la cercavo laddove mi avevano detto che fosse: nell’indistinto flusso numerario che compone il discorrere contemporaneo.

La cercavo nelle statistiche, perciò, scrutando fra congerie di dati che, dicevano tutti, illustravano meglio delle parole la costituente stessa dell’Europa, che perciò è fenomeno economico nel sentire comune, assai prima che sociale, o, forse, componendosi la sua socialità, che dovrebbe essere spirito politico, proprio in variabili rese omogenee dal metro monetario, radice, a quanto sembra, del nostro stare insieme.

Forse tutto questo era una perversione della storia?

Ho iniziato a chiedermelo man mano che procedevo usando la lanterna dell’intelletto per decifrare il gerogilifico aritmetico che, passo dopo passo, svelava il suo arcano di terribile travestimento del nulla.

Sotto quei numeri non c’era l’Europa, ma il seme dell’ennesima guerra civile che i popoli europei hanno iniziato a combattere creando sconquassi percepiti intanto dai termometri finanziari, prima di rovinare sulla società. E mentre adesso gli stessi termomentri volgono al bello, incoraggiati da migliaia di dichiarazioni d’intenti di politici e banchieri centrali, la rovina sociale volge al peggio.

L’Europa economica migliora al peggiorare dell’Europa sociale.

Eppure la ricerca non è stata vana. Al contrario.

Cercavo l’Europa. Ne ho trovate quattro.

Sicché ne ho tratto la convinzione che l’Europa condivide la tragica sorte che fu dell’Italia ai tempi di Metternich: essere un’espressione geografica, o, volendo essere attuali, una speciosa costruzione economica fondata sul lavoro dei giuristi.

Di grande aiuto, nella mia ricognizione, è stato il lavoro tassonomico svolto dal Fondo Monetario internazionale, grande facitore di aggregati contabili, che, proprio in virtù della sua facoltà di discernimento ha isolato e classificato i legami più profondi, che sono sempre numerari e quindi economicistici, fra le aree autenticamente omogenee di quel melting pot che chiamiamo Europa, classificandosi quest’ultima, infine, come un semplice contenitore. Un indicatore di prossimità geografica.

Sicchè capite bene perché il Fmi dedichi alle quattro Europe periodici approfondimenti.

L’ultimo apparso pochi giorni fa è quello dedicato ai paesi centro-sud-orientali dell’Europa, definita regione CEESE. Si tratta di un gruppo di paesi che vanno da Russia e Turchia, fino a Serbia, Romani, Moldova e altri. Il criterio di classificazione è quello dei paesi emergenti, nei quali vengono ricompresi anche i tre paesi baltici, quindi Estonia, Lituania e Lettonia, ormai stabilmente integrati nell’area euro, e tuttavia oggetto pure loro di un report regionale del Fondo monetario.

Un’altra Europa, che si aggiunge a queste due, è quella dei paesi delle regioni nordiche, quindi Svezia, Danimarca, Finlandia e Norvegia, fuori dall’euro (a parte la Finlandia), ma dentro l’Ue. I vichinghi del Nord, proprio come i tre paesi baltici, sono profondamente interrelati, condividendo sistemi finanziari e sociali e realizzando fra loro una notevole convergenza.

Infine, l’Europa d’occidente, che compone il nucleo forte dell’eurozona, quella composta dai nipotini di Carlomagno, che oggi guida (o vorrebbe guidare) il processo di integrazione europeo con i risultati che stanno davanti ai nostri occhi e dei quali si è interessata di recente l’Ocse.

Conoscere meglio le quattro Europe è esercizio utile per comprendere ciò di che parliamo quando parliamo di integrazione europea.

Ciò non vuole dire che poi quello che si capisce finisca col piacerci.



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