Da un po’ di tempo mi capita di parlare con persone che applicano i criteri della politica nazionale nella scelta del partito da sostenere alle elezioni europee. Questa può essere una ottima motivazione per certi aspetti (vedi quelli che dicono: io sostengo il PD alle europee anche se non apprezzo il candidato alla presidenza della Commissione perché credo che le europee siano un banco di prova per il governo), ma per certi altri manca l’obiettivo.
La politica europea non è quella nazionale, per cui, salvo quelli che effettivamente ritengono che le europee siano un voto pro o contro il governo, non è indifferente trascurare che con l’elezione del Parlamento Europeo si esprimerà una preferenza molto forte, se non vincolante, per il presidente della Commissione Europea. Da questo punto di vista tutti sappiamo che i nomi più esposti sono il candidato del PPE Jean Claude Juncker, ex primo ministro lussemburghese, l’attuale presidente del Parlamento Europeo per il PSE, Martin Schulz, cui si deve aggiungere il belga Guy Verhofstadt che corre per l’ALDE. Gli altri, fra cui Tsipras, per quanto godano di una certa fama, non correranno mai concretamente per la posizione di potere più ambita in Europa. La Commissione Europea è il vero nucleo della politica europea, il punto nel quale si trasformano in realtà (spesso con rilevanti differenze concrete) le indicazioni dei capi di stato del Consiglio Europeo. Scegliere chi presiederà la Commissione significa dunque scegliere quale sarà l’indirizzo che prenderà nei prossimi anni la politica europea, perché è la Commissione che da il via al procedimento legislativo esercitando l’iniziativa.
Ogni candidato presidente, se sarà eletto, servirà l’idea di Europa che è più vicina ai suoi ideali ed al suo modo di agire politico. Il lussemburghese Juncker rappresenta la continuità con Barroso, il presidente del consenso e del dialogo con gli stati membri. Schulz in realtà sulle questioni concrete non è poi così lontano da Juncker, benchè il retroterra politico sia molto diverso. In Germania è stato accusato di essere eccessivamente conciliante verso le politiche di austerità di Angela Merkel, e questo ha contribuito a determinare il risultato negativo del partito socialista alle elezioni federali del Settembre 2013. Verhofstadt ha un idea di Europa più autonoma ed indipendente dagli stati nazionali. Potrebbe essere una scelta interessante, ma è improbabile che il peso dei suoi voti si faccia sentire.
I due principali candidati alla presidenza, per quanto politicamente molto diversi, sono essenzialmente due conservatori che avranno cura nelle loro decisioni di non disturbare troppo gli stati che dell’Unione fanno parte.
Per questo bisogna sperare che le elezioni europee non si concludano secondo le previsioni, ma che le carte si rimescolino (cosa che avverrà per mano dei partiti antisistema) e che i due candidati non siano poi davvero presentati al Consiglio per gli scarsi risultati ottenuti. A due presidenti già da tempo presenti sulla scena europea sarebbe preferibile un politico giovane, di rottura, che faccia un tentativo per liberare l’Europa dalla morsa degli stati che ne fanno parte e le permetta di esprimere il suo potenziale, affrontando argomenti come la riforma dei trattati e delle competenze da assegnargli (rifiutando naturalmente ogni tentazione di socialismo reale). Ma le reali possibilità che questo si realizzi sono davvero poche. L’imprevisto è la sola speranza, appunto.