Molti nemici molto onore, pensano i pasdaran del renzismo. Eppure iniziano ad essere un po’ troppi i nemici – veri o solo evocati da Matteo Renzi – per consolidare le magnifiche sorti e progressive del renzismo.
La riforma stoppata di Palazzo Madama, con un ordine del giorno sul Senato elettivo, non è solo un incidente di percorso: l’arrembante volontà renziana di rottamare e asfaltare non ha fatto bene i conti con i tempi, spesso troppo felpati, delle istituzioni. E poi l’elettoralismo insito nelle accelerazioni renziane, insieme con i rilievi legittimi su alcuni aspetti della riforma, ha fatto il resto.
Anche il maramaldeggiare, tipicamente renziano, su sindacati e lavoratori del pubblico impiego – quando ci sono ancora solo alcune linee guida per innovare la pubblica amministrazione finora – ha ancora un sapore troppo propogandistico. E con un obiettivo preciso: infierire sulla CGIL camussiana che ha remato contro il Rottamatore alle primare del Pd e ammiccare alle consolidate e giuste convinzioni di professionisti e imprenditori sul conservatorismo specie cigiellino. Ma uno statista, come pensa di essere Renzi, non dovrebbe indugiare e mettere zizzania nella Cgil occhieggiando a Maurizio Landini: un comportamento quanto meno schizofrenico viste le posizioni ben poco renziane del segretario della FIOM rispetto a quelle di Susanna Camusso, per non parlare di quelle della Cisl o della Uil.
Ma l’opportunismo del segretario del Pd inizia a essere preoccupante. Dopo il bonus Irpef sbandierato a ogni pie’ sospinto (con nulli effetti sulla crescita visti i tagli alla spesa che compensano le ricadute espansive degli 80 euro), le bacchettate ai sindacati conservatori e l’antimilitarismo grilleggiante sugli F-35 delineano un leader dalla comunicativa efficace ma dalla solidità politica ancora claudicante che esce azzoppata ieri da Palazzo Madama.