Proseguono gli approfondimenti di Formiche.net per il G7 Energia del 5 e 6 maggio a Roma. Dopo le interviste ad Alberto Clò, Davide Tabarelli e Carlo Pelanda, ecco l’intervento di Diego Gavagnin
Sicurezza/indipendenza energetica, tutela ambientale, prezzi equi. Temi che attengono direttamente alla potestà statale, l’unica in grado di avere la necessaria visione integrata di tutte le problematiche connesse, e di poter intervenire con il “comando/controllo”, gli incentivi, gli indirizzi strategici agli operatori su mercati liberi.
Questi valori sono nell’ordine giusto? Non ho certezze, so però che la sicurezza ha un costo, di solito molto alto; certamente l’indipendenza energetica è oggi insostenibile mentre la sensibilità ambientale dei cittadini è in veloce evoluzione, ma non se ne conosce ancora il limite in termini di maggiori oneri fiscali o nelle bollette.
Oddio, il tutto rinnovabile elettrico, fotovoltaico ed eolico anche offshore, sarebbe pure possibile. Ai prezzi attuali servirebbero parecchie decine di miliardi di euro all’anno, ma anche una sostanziosa mano dal metano per i trasporti terrestri di medio e lungo raggio e marittimi. Ciò che conta è sapere che non esistono “pasti gratis” e che una democrazia matura deve affrontare questi temi con trasparenza e poi decidere il cosa e a che prezzo: tot sicurezza, tot costi.
LA SICUREZZA PETROLIFERA
Fino al crollo dell’Unione sovietica, la sicurezza energetica italiana era sostanzialmente sicurezza petrolifera. L’ombrello di Mosca garantiva stabilità in Medio Oriente e Nord Africa, nostri principali fornitori. La caduta del muro ha lasciato la nostra sicurezza nelle mani di Ayatollah e dittatori di ogni risma.
UN’ALTERNATIVA
L’opportunità di sanare la situazione e costruire una alternativa di solida sicurezza energetica arriva con il processo di liberalizzazione europea del mercato del metano, a cavallo tra vecchio e nuovo secolo. Il metano stava infatti sostituendo il petrolio in tutti gli usi non trasportistici, come nel riscaldamento, e stava per dare l’assalto finale all’olio combustibile per la produzione di elettricità. Più del 60% la produzione elettrica da metano a metà anni 2.000.
LA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DEL METANO
E proprio su questo verté la discussione quando si trattò di decidere come liberalizzare il mercato italiano del metano e di come, conseguentemente, ridurre la posizione dominante interna dell’Eni. Il punto fondamentale del dibattito, relegato nelle Commissioni parlamentari e con pochissimo risalto esterno, fu proprio questo: la sicurezza energetica è più garantita dalla pluralità di approvvigionatori e provenienze o dal campione nazionale con i suoi “solidi” rapporti internazionali?
UNA LIBERALIZZAZIONE A META’
Ne uscì una liberalizzazione a metà, che portò sì in Italia gas “non Eni” ma che tutti dovevano acquistare un metro fuori dalla frontiera dall’Eni stesso. E con il quale avrebbero dovuto fargli concorrenza sul mercato italiano! Roba da ridere se non fosse da piangere pensando a quanto queste mezze decisioni hanno pesato sul ritardo nello sviluppo del Paese. Con la scusa della sicurezza che poi non si è nemmeno riusciti a garantire!
LA DISPONIBILITA’ DI PETROLIO
Nel frattempo, pur con tutti i suoi limiti sul processo di formazione dei prezzi, il petrolio ha raggiunto la piena maturità in termini di disponibilità della materia prima e della logistica, riducendo a zero il rischio di approvvigionamento. Clamoroso quanto drammatico il blocco dell’export del petrolio libico all’inizio della guerra civile: in un giorno l’Italia perse il 25% del petrolio contrattualizzato.
Non un goccio di benzina o diesel è mancato agli italiani nei giorni e settimane seguenti. C’era domanda e il petrolio è arrivato. Punto. Il prezzo sì, è aumentato, anche se mai più di 1 dollaro al barile, ma per tutti, non solo per noi. Miracoli del mercato globalizzato, Eni o non Eni.
IL MANDATO DI TREMONTI
Subito dopo la “liberalizzazione” del metano, nel 2001, arriva Tremonti, che si comporta come se le società energetiche controllate dallo Stato fossero solo uno sportello. L’azionista chiede e loro erogano. Secondari lo sviluppo, la crescita del Paese, la sicurezza energetica. Chiarissimo il mandato di Tremonti ai manager: più dividendi possibile!
Vittorio Mincato, l’amministratore delegato di allora resiste perché vuole investire, comprare società e cercare nuovi giacimenti ma viene fatto fuori. Da quel momento l’Eni ha smesso di essere una azienda industriale, per diventare una società finanziaria. Le trimestrali, le azioni, la politica dei dividendi, prevalsero sulle strategie industriali e sugli investimenti.
LO SCONTRO RUSSIA UCRAINA
Nel 2006 arriva il primo scontro tra Russia e Ucraina che mette a grave rischio i nostri approvvigionamenti. Il 31 gennaio Tremonti incontra a Mosca il suo omologo Alexei Kudrin e conclude un accordo strategico. L’Italia accoglie l’offerta russa di garantire gli approvvigionamenti di gas di lungo periodo all’Italia e in cambio Gazprom non venderà direttamente gas proprio in Italia (cosa che invece sarebbe stata molto utile, perché avrebbe messo direttamente in concorrenza gas russo e gas algerino e libico direttamente sul nostro mercato. Certo, il rischio era che i prezzi scendessero, e con essi i dividendi).
SNAM E LO ZAMPINO DI PUTIN
Inoltre l’Italia si impegna a rallentare il processo di liberalizzazione europeo, in particolare bloccando la prevista vendita di Snam, che avrebbe reso “terza” la rete italiana. Intorno a Snam si sarebbero potute aggregare le altre reti indipendenti europee, come la spagnola e l’Inglese, mettendo le basi della grande rete continentale di cui si riesce a parlare solo ora, dopo che con un blitz Mario Monti riuscì a scorporare la Snam da Eni solo nel 2012.
Berlusconi e Tremonti nel 2006, senza neanche aspettare le elezioni imminenti, anzi, forse proprio per questo, affidarono a Putin la sicurezza energetica dell’Italia. Il conto lo stiamo pagando ancora adesso.
CHI SI OPPOSE A QUESTE SCELTE
E’ giusto ricordare che non tutti condivisero queste scelte. Sempre ad inizio 2006 arriva a conclusione una indagine conoscitiva sull’energia condotta dalla Commissione Attività produttive della Camera, presieduta da Bruno Tabacci e con relatori Stefano Saglia per il centro destra e Erminio Quartiani per il centro sinistra. Chi scrive ebbe l’onore di collaborare con i due relatori e il responsabile dell’ufficio studi della Commissione Cristiano Ceresani.
Il documento, approvato all’unanimità dalla Commissione con solo dei distinguo di Rifondazione Comunista sul tema del carbone e del nucleare, analizzava i rischi di approvvigionamento e suggeriva di supplire con la realizzazione di rigassificatori e nuovi gasdotti, anche con l’intervento di Snam, in modo che entro 5 anni l’Italia diventasse esportatrice verso Nord del gas approvvigionato da Sud, con una capacità di importazione di almeno il 20% superiore ai consumi interni.
Si suggeriva anche la separazione proprietaria di Snam da Eni, il rafforzamento degli stoccaggi e, soprattutto, l’attribuzione al Ministero dello sviluppo economico la funzione di azionista di riferimento delle società energetiche. Sul fronte elettrico si suggeriva di favorire le esportazioni di elettricità verso il Centro Europa, che sarebbero state favorite da un discesa dei prezzi del gas.
IL GOVERNO PRODI E IL PATTO CON GAZPROM
Il governo Prodi sposò invece la linea di Berlusconi–Tremonti e a quel punto l’Eni, forte dell’appoggio bipartisan ad una politica filo russa, concluse nel novembre del 2006 un patto strategico con Gazprom che prevedeva un forte allungamento dei contratti take or pay indicizzati al petrolio, in forte ascesa di prezzo, la rinuncia alla cessione di Snam prevista per il 2008 il disinteresse – che vista la sua posizione dominante voleva dire contrarietà – alla realizzazione di rigassificatori. Aumentavano le importazioni dalla Russia a scapito dell’Algeria.
L’ACCORDO PER IL SOUTH STREAM
L’anno seguente ecco l’accordo per il South Stream, nuovo grande gasdotto pensato esplicitamente per isolare l’inaffidabile Ucraina filo occidentale. Per l’Italia la commessa per Saipem della tratta sottomarina nel Mar Nero, mentre non è mai stata credibile la ventilata ipotesi di una bretella verso la Puglia per rifornire direttamente il mercato italiano, pur restando l’Austria il punto di arrivo finale del nuovo gas russo.
Ovviamente l’arrivo di questo gas a Nord dell’Italia avrebbe definitivamente fatto tramontare qualunque ipotesi del nostro Paese come centro di importazione e smistamento del gas (hub) verso il Centro e l’Est Europa.
Adesso, nel pieno della nuova e ben più grave crisi russa – ucraina, Gazprom si dice fiduciosa di riuscire ugualmente a realizzarlo, anche senza l’Eni – Saipem. Si tratta di una opportunità da cogliere al balzo per uscire il prima possibile da questo progetto anti italiano.
FARE A MENO DELLA RUSSIA
Nelle trattative con la Russia ciò che conta è la convinzione delle proprie posizioni e la credibilità del saper andare fino in fondo. La Russia resterà un partner commerciale importante per l’approvvigionamento del gas, ma sarà tanto più affidabile quanto più sapremo dimostrare di poterne fare a meno.
C’è un costo per una politica energetica che in prospettiva possa fare a meno del gas russo? Certamente, ma molto inferiore ai dividendi che l’Eni e la Snam erogano ogni anno e che si perdono nel calderone della spesa pubblica, mentre è incalcolabile il valore dell’aiuto che può venire alla ripresa economica da un rilancio degli investimenti in infrastrutture energetiche sul nostro suolo e lo stimolo alla discesa del suo prezzo.
LE SOLUZIONI
Già, ma cosa fare? A parte il favorire in tutti i modi il completamento del Tap, che porterà in Italia gas non russo, è necessario accelerare al massimo la reversibilità dei flussi dei gasdotti verso l’Austria e l’Olanda, per concludere i lavori con un anno di anticipo, entro il 2015 e non il previsto 2016 (è possibile, se vi vuole).
I RISCHI
Con l’attuale depresso livello di domanda si suppone che fino alla fine del prossimo anno dovremmo correre rischi gestibili anche in caso di blocco totale dell’import dalla Russia e problemi con la Libia. Ovviamente è necessario rilanciare gli accordi con l’Algeria e liberalizzare il gasdotto, ancora in mano all’Eni, che collega la Sicilia alla Tunisia e ai giacimenti algerini.
UN GRANDE RIGASSIFICATORE
Poi quello che serve davvero è un grande rigassificatore come quello progettato a Gioia Tauro, in posizione strategica anche per l’utilizzo del metano in forma liquida per i trasporti marittimi e terrestri. Come prova della volontà di realizzare questo impianto deve entrare in campo la Snam, di modo che l’accesso all’impianto sia libero per qualsiasi importatore e provenienza.
GAZPROM ALLE PRESE CON CANADA, USA, CIPRO E ISRAELE
Insomma, saremo certi di continuare ad avere con continuità il gas russo solo se dimostreremo di poterne fare a meno e gli impianti sottoutilizzatoi possono lavorare per l’esportazione e nuovi usi, come fanno oggi i rigassificatori spagnoli. Se poi è Gazprom a venire in Italia a vendere il suo direttamente tanto meglio. Sappia però che sul prezzo dovrà vedersela con il gas che presto arriverà dal Canada e poi dagli USA e forse prima ancora da Cipro e Israele.
Se poi la Russia decide di vendere il proprio gas alla Cina bene per l’Europa, perché questo farà scendere i prezzi e gli approvvigionamenti che oggi vanno verso l’Asia, come quelli dell’Algeria, che manda in Giappone il GNL di Panigaglia, torneranno verso di noi.
LA SOLUZIONE PRINCIPALE
A parte il TAP, gasdotto nato per trasportare il gas dell’area del Caspio, che in futuro potrà raccogliere anche gas curdo-iracheno e iraniano, la soluzione principale è nelle metaniere e nella disponibilità di un congruo numero di rigassificatori e depositi costieri aperti a terzi.
Il gas c’è in abbondanza. E sono anche alle porte gli impianti di liquefazione mobili, per raccogliere il metano dei giacimenti minori e quelli associasti ai campi petroliferi. Come già per il petrolio, la sicurezza energetica nel settore del gas – fonte di transizione al dopo petrolio – va di pari passo con la globalizzazione del suo mercato.
LA PARTE DEGLI USA
Questa la principale proposta che l’Italia, organizzatrice del G7 Energia che si apre stasera a Roma, deve suggerire a tutti i partner e battersi affinché venga condivisa e attuata. Soprattutto dagli USA che devono aprire le proprie esportazioni di gas (e di petrolio).
Gli USA devono anche convincersi che pure il prezzo del gas fa parte del problema sicurezza, perché le attuali diversità a sfavore dell’Europa, del Giappone e della Corea del Sud, riducono la coesione e la volontà politica dell’Occidente, soprattutto con il dollaro così sopravvalutato.
Obama ha detto che gli europei devono imparare a pagare per la propria sicurezza, ed è giusto, ma anche gli USA devono fare la propria parte, che nell’era dei mercati globali non può essere solo o prevalentemente militare.
IL MESSAGGIO CHE L’ITALIA DEVE DARE
Invece il messaggio che l’Italia deve dare a sé stessa è che le aziende energetiche facciano industria e non finanza e che i manager sappiano dire no alle richieste del Tesoro di alti dividendi a scapito degli investimenti, e così anche verso i Sindaci per le municipalizzate.
L’Eni non sia più un bancomat, che poi per ogni miliardo al Tesoro italiano due miliardi vanno ai fondi e alle banche internazionali! Basta con le politiche energetiche decise dal Ministero dell’Economia (e delle finanze).
VASTITA’ E LIQUIDITA’ DEI MERCATI
In ogni caso sia per il G7 che per l’Italia la sicurezza maggiore per ogni approvvigionamento viene dalla vastità e dalla liquidità dei mercati. Tutto quanto accaduto in questi anni sarebbe stato meno grave o irrilevante o semplicemente non sarebbe successo se in precedenza si fossero fatte scelte pro mercato.
Nei momenti di paura viene spontaneo chiudersi, irrigidirsi, cercare di contare solo sulle proprie forze. Bisogna invece aprirsi ancora di più e pretendere che altrettanto facciano gli alleati. Dividere i rischi per condividere la sicurezza.