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Le coperture per il bonus Irpef sono una farsa

Sono stati in tanti a farsi delle illusioni: finalmente, ci era stato detto, con il governo Renzi la spending rewiew sarà un vero e proprio metodo di governo, rimpiazzerà definitivamente i tanto vituperati tagli orizzontali di tremontiana memoria, quelli che con cui si riducevano percentualmente, in modo assulutamente indiscriminato e automatico, tutti gli stanziamenti di talune categorie dei bilanci pubblici. Erano biasimati perché rappresentavano la più palese dimostrazione della incapacità della politica di effettuare scelte chiare, nette e precise: servivano a trovare i soldi e basta.

I TENTATIVI DEL GOVERNO LETTA

Finalmente, era stato ribadito, si elimineranno gli sprechi: il governo Letta si era addirittura accaparrato un Commissario straordinario alla revisione della spesa con i fiocchi e controfiocchi, riuscendo a convincere Carlo Cottarelli a rientrare in Italia, lasciando il prestigioso incarico di direttore del dipartimento delle politiche fiscali del Fmi che ricopriva da anni, meritandosi unanime apprezzamento.

IL SOUFFLE’ SERVITO DA RENZI

Alla prima prova, però siamo di fronte a un soufflè già sgonfio appena fuori da forno. Il decreto legge “80 euro in busta paga” fornisce in materia di spending review una soluzione mai adottata prima: 2,1 miliardi di euro di copertura derivano da tagli non solo orizzontali, ma addirittura retroattivi. Per realizzare l’obiettivo di ridurre la spesa per acquisto di beni e servizi, cui concorrono pariteticamente per 700 milioni  i ministeri, le regioni e l’insieme di comuni e province, le amministrazioni pubbliche sono in primo luogo “autorizzate, a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto, a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 percento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi”.

GLI ESPROPRI RENZIANI

Iussu principis, si sarebbe detto una volta, con riferimento al comando degli imperatori che poteva travolgere a loro piacimento ogni regola e certezza giuridica. Per usare una terminologia più vicina ai nostri tempi, potremmo chiamarla “autoriduzione delle fatture da parte dello Stato”, una pratica che capovolge la logica degli espropri proletari in voga durante gli anni di piombo. Si contestavano, a quei tempi, l’esosità del canone di affitto oppure l’elevatezza delle tariffe pubbliche, oppure il prezzo del biglietto degli autobus. Siamo all’arbitrio di Stato: mentre si possono benissimo tagliare gli stanziamenti di spesa, qui non si rispettano i contratti già stipulati. Si autorizza uno sconto unilaterale del 5%. Il decreto prevede che le parti possano rinegoziare il contratto e che, nel caso in cui il fornitore non accetti la riduzione del 5%, possa recedere senza pagare penali. Perde il contratto e deve pure filarsela senza fiatare.

GLI ARBITRI DI MATTEO

Le novità rivoluzionarie non finiscono qui: si prevede, infatti, la emanazione entro 30 giorni dalla data di emanazione del decreto-legge di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che moduli le riduzioni per le spese dei ministeri in funzione di quanto i prezzi pagati nei diversi contratti si discostino da quelli di riferimento, salvo poi aggiungere una ulteriore clausola di salvaguardia “in caso di mancata adozione del decreto nel termine di 30 giorni o di sua inefficacia”. Mai accaduto prima che si preveda l’emanazione di un decreto di indirizzo e coordinamento da parte del Presidente del Consiglio e contestalmente la possibilità che non venga neppure emanato o che sia inefficace. Siamo tornati all’arbitrio assoluto, al sovrano assoluto che promette di fare qualcosa riservandosi allo stesso tempo di non farlo, può “volere e disvolere”.

IL NODO INCOSTITUZIONALITA’

Ci fermiamo qui, per non entrare nel novero delle ipotesi, prima tra tutte la incostituzionalità delle disposizioni citate: non c’è solo un principio di affidamento che viene meno, ma una forma di tassazione impropria delle imprese che hanno legittimamente contrattato e stipulato. Se una azienda che ha vinto una gara di appalto o di fornitura partecipando ad un bando comunitario facesse opposizione, e la questione venisse rimessa alla Corte costituzionale, si aprirebbe una voragine di incertezza. I ricorsi si farebbero con il ciclostile.

LE PROVE DI ENRICO BONDI

Ci si provò già, ma senza successo, con il decreto legge di spending rewiew adottato ai primi di luglio del 2012 su proposta del Commissario Enrico Bondi, a prevedere retroattivamente la deindicizzazione rispetto all’inflazione dei contratti di affitto stipulati dalle pubbliche amministrazioni. Allora si invocava l’eccezionalità della situazione economica e la prorità di contenere la spesa pubblica. Stavolta ci si riferisce all’equità: il credito di imposta di 80 euro al mese è coperto, per 2,1 miliardi di euro, con la riduzione del fatturato delle imprese che hanno stipulato contratti con le Pubbliche amministrazioni.

I DUBBI SULLE PROCEDURE RENZIANE

E non ci si venga a dire che in realtà verrebbe ridotta del 5% anche la fornitura, perché altrimenti non avrebbe senso la previsione di un Dpcm che determinerà “minori riduzioni per gli enti che acquistano ai prezzi più prossimi a quelli di riferimento ove esistenti; registrano minori tempi da pagamento ai fornitori; fanno più ampio ricorso agli strumenti di acquisto messi a disposizione da centrali di committenza”.

E’ uno sconto unilaterale del 5%, retroattivo ed ope legis: la copertura c’è, ed è pure abbondante. Davvero un piumone, voluminoso e leggero.


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