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Piero Guccione, l’ultimo uomo alla fine della terra

Da Nord a Sud, dunque, per chilometri e chilometri. Poi, infine gli Iblei. Sei alla fine della terra ferma. La tua corsa, la tua fatica sulle strade, si interrompe di colpo perché la strada, la terra sotto i piedi scompare, finisce. Ti fermi, alzi il capo e guardi. Ecco, il mare. Riscopri, lentamente, il gusto, la sensibilità, il desiderio di voler aspettare. Dell’importanza di fermarsi e guardare con sempre maggiore attenzione, con sempre maggiore cura ogni dettaglio. Ogni impercettibile movimento delle onde. Ogni impercettibile venatura di colore.
Questo ha fatto Piero Guccione. Si è messo a guardare il mare in tutte le ore del giorno baciato da tutte le inclinazioni del Sole, sbirciato di tanto in tanto dalle apparizioni di Luna, quelle diurne che passano inosservate ai più. La fatica è diventata quella di dover fermare un movimento, quello delle correnti che mantengono in continuo movimento, un movimento browniano e incessante il pelo dell’acqua e che lì, chi è di quelle parti lo sa bene, è sempre da ponente verso levante.
La fatica è diventata la ricerca ossessiva di rendere astratto quel fotogramma che fa il vuoto nello stomaco come l’emozione di quando ci si perde negli occhi e nel sorriso di una donna. Di trasformare con l’arte quell’immagine che è legata a un luogo, a un mare che è il proprio anagraficamente e nostalgicamente, e farla diventare universale. Il colore, dunque. Lavorato una pennellata al giorno, per anni e anni. Lì a Quartarella in quella campagna senza tempo. Solo. Muto. A dipingere quello spazio, quel volume tra l’acqua e il cielo che è un azzurro sempre più diafano che nel liofilizzarsi delle linee, delle presenze diventa un unico piano di colore. Che nell’assenza si carica di tutte le forze, di tutte le emozioni, di tutte le nostalgie. Di tutta una vita. E anche tu ti puoi sentire nella vertigine di un istante l’ultimo uomo della terra di fronte all’infinito dell’azzurro, celeste che si sfinisce nel bianco. L’infinito vuoto che ti divarica prepotentemente un’ultima volta lo stomaco e ti chiude gli occhi per sempre.

Piero Guccione, verso l’infinito

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