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Prokofiev, “capriccioso” doppio giochista

Come si sono assuefatti gli intellettuali russi ai regimi autoritari? E’ un tema che abbiamo trattato altre volte, soprattutto relativamente a Šostakovič. Soffermiamocii su Prokofiev, noto in Italia principalmente per la sua produzione concertistica, per i suoi balletti, per le sue musiche da film (“Alexandr Nevsky” e “Ivan il Terribile”, ambedue di Sergej Eisestein) e per quattro opere, peraltro molto differenti, “L’amore delle tre melarance”, “L’angelo di fuoco” e “Guerra e Pace”, nonché ovviamente per il delizioso “Pierino e il lupo”. Su Prokofiev è stato pubblicato alcuni anni fa un libro esauriente di Piero Rattalino (“Sergej Prokofiev- La vita, la poetica, lo stile”, Zecchini Editore 2003), la cui lettura può essere una buona premessa per meglio godere ‘L’amore delle tre melarance’ un cui nuovo allestimento sarà presentato, nel testo originale francese (L’amour des trois oranges) domenica primo giugno al Maggio Musicale Fiorentino.

IL CAMMINO DI PROKOFIEV

In questa sede, tuttavia, gli aspetti della poetica musicale ci interessano meno del rapporto difficile che questo “figlio geniale ma capriccioso” (la definizione è di Tommaso Manera) ebbe con il regime autoritario della propria Patria e soprattutto il camino che fece, dopo avere lasciato la Russia all’inizio di una “rivoluzione proletaria” che per lui – lo ammettono anche i musicologi schierati a sinistra – era almeno “problematica” – vi ritornò (gradualmente) mentre stava cominciando il periodo peggiore del terrore staliniano, ebbe la propria prima moglie deportata nel gulag nel 1948 (e successivamente costretta all’espatrio), cantò non solo le gesta della Russia in guerra contro la Germania , compose nel 1950 l’oratorio più celebrato dal comunismo internazionale (“Siate vigili per la Pace”), e morì quasi alla stessa ora di Stalin tanto che del suo decesso diede notizia un giornale americano quattro giorni dopo e la “Pravda” ben sei giorni più tardi.

UNA PRODUZIONE SORPRENDENTE

Prokofiev è stato un “enfant prodige”- già a 11 anni ha composto il testo e la musica di una cantata. Nel clima di una Russia che si avvicinava alla Rivoluzione d’Ottobre, oltre a sfornare una produzione sorprendente, per quantità e per qualità, di cameristica e di avvicinarsi al teatro in musica (con la prima versione de “Il giocatore”, le cui prove furono interrotte dalla Rivoluzione del Febbraio 1917) si appassionò alle espressioni più moderne – dal neobarocco, al futurismo, al dadaismo – tutte molto distanti dal post-wagnerismo della musica tedesca o dal verismo che allora permeava la musica italiana ed, in parte, quella francese e che sarebbe diventato “realismo socialista” nella poetica leninista e stalinista. Pianista di eccezionale qualità, venne accolto a braccia aperte in Occidente quando nel 1918 lascia (in compagnia della madre) la Russia alla volta di Parigi (che aveva già conosciuto ed apprezzato nel 1911, a 20 anni), Londra e Chicago dove, dopo molte peripezie, trionfa “L’amore delle tre melarance”, opera tratta da una commedia di Carlo Gozzi con un ritmo sincopato futurista, una vera e propria di personaggi, un organico orchestrale contenuto ma soprattutto un’ironia sferzante contro gli autoritarismi di ogni genere e specie, i falsi intellettuali, gli utili idioti e via discorrendo. Viene proposta di rado in Italia. Ricordo un allestimento al Maggio Musicale (ma in versione italiana) nel 1979; si è vista a Firenze al “Carlo Felice” di Genova nel febbraio 2007; si è ascoltata una versione concerto (in traduzione russo) durante una tournée del teatro di San Pietroburgo in Italia nel 1997;  ho avuto modo di gustare un’edizione godibilissima nel dicembre 2008 alla Komische Oper di Berlino. Ricordo una co-produzione recente del Festival di Aix en Provence e del Real di Madrid che ha girato mezza Europa, ma non si è vista in Italia.

Curiosamente, l’opera ebbe un’accoglienza trionfale a Leningrado (nome che allora aveva San Pietroburgo) quando venne ivi rappresentata nel 1927; i burocrati sovietici non si accorsero del suo potenziale rivoluzionario.

IL RITORNO IN RUSSIA

Nonostante il carattere vagamente laicista (che sarebbe potuto piacere alla nomenklatura ed alla Commissione per l’Ateismo) un altro capolavoro per il teatro in musica (“L’angelo di fuoco”), commissionato inizialmente dal Metropolitan (dove non andò mai in scena), restò un manoscritto nella sua casa di Parigi (dove alcune parti vennero eseguite in forma di concerto); la prima rappresentazione scenica fu postuma, ed in traduzione ritmica italiana, al Festival di Musica Contemporanea di Venezia nel febbraio 1955. In effetti, l’insolitamente lungo periodo di composizione del lavoro, coincise per molti aspetti con la sua graduale decisione di ritornare in Russia. Accettò, in primo luogo, di comporre le musiche per un film brillante (che sarebbe stato di grande successo) , “Il luogotenente Kijé”, poi di un balletto, “Romeo e Giulietta”, e di avvicinarsi sempre più ad uno stile che sarebbe stato accattivante per il pubblico russo (ad esempio, il “Primo concerto per violino ed orchestra”), quindi sempre più distante sia dalle esperienze dadaiste e futuriste di pochi anni prima sia dal nuovo linguaggio che prendeva piedi in Germania, in Francia ed in Italia e che avrebbe avvicinato lo stesso Stravinsky (émigré come lui al tempo della Rivoluzione d’Ottobre) alla dodecafonia.

Nell’Unione Sovietica, la vita dei musicisti era severamente regolamentata: suo moglie – si è detto – finì in campo di concentramento prima di essere deportata (si spense a Londra nel 1989), uno dei suoi migliori amici  Vsevolod Mejerchol’d, librettista dell’opera “Seimon Kotko” (visto a Cagliari alcuni anni fa in un allestimento del Bolshoi), fu condannato a morte nel corso delle purghe staliniane, si legò ad una donna di giovane età, compose addirittura una “Cantata per il ventennale dalla Rivoluzione d’Ottobre” (da cui se la era data a gambe levate) ed un’altra per il sessantesimo compleanno di Stalin, oltre  a lavori più noti (“Guerra e pace”, le musiche per i film di Eisenstein), molti con un forte contenuto patriottico.

PROKOFIEV E LA CRITICA

Un opportunista, come considerato per anni da certa critica di destra? Un irrimediabile tradizionalista, incapace di prendere atto della crisi del sistema tonale, e di meditare sulla serialità e sulla dodecafonia, come scritto per decenni dalla critica italiana e tedesca di sinistra?

Difficile dare una risposta: il beffardo dadaista e futurista dalla cultura internazionale è forse semplicemente rientrato in Russia sui 45 anni per amore e nostalgia di Patria, pagando il prezzo di venire a patti con il sistema politico imperante. Lo suggeriva nel 1940 in “Seimon Kokto” (curiosa opera comica sulla campagna ucraina ai tempi della prima guerra mondiale) ed ancor meglio un’opera minore del 1948 , singolarmente intitolata “La storia di un vero uomo” (mai rappresentata in Occidente) in cui si tenta, senza riuscirci, di mostrare cosa è il “vero uomo sovietico”..

L’AMORE DELLE TRE MELARANCE

Torniamo a “L’amore delle tre melarance , una delle prime opere di Prokofiev effettivamente concepite per la scena. Il nostro aveva già scritto il libretto e composto la musica de Il Gigante” quando aveva nove anni. Aveva tentato di nuovo l’opera quando era studente al Conservatorio di San Pietroburgo con un drammone in un atto “Maddalena e provato ancora con “Il Giocatore che lo mise in contatto con Wsewolod E. Meyerhood, allora (negli Anni Venti) uno dei leader della scuola anti-naturalistica non soltanto russa ma europea. Fu Meyerhood a suggerirgli di provare un percorso innovativo prendendo spunto dai lavori, assolutamente anti-naturalistici, di Carlo Gozzi ed in particolare da L’amore delle tre melarance  di cui aveva curato un allestimento teatrale nella San Pietroburgo pre-rivoluzionaria. Con l’avvento del nuovo regime, Prokofiev scappò dalla Russia ed andò a tentare la propria fortuna all’estero. Aveva 27 anni quando a Chicago, il Sovrintendente del Teatro Lirico, Cleofonte Campanini, si interessò alle idee del giovane compositore e conclusero un contratto per la realizzazione de “L’amore delle tre melarance”. La morte di Campanini ed altre complicate vicende (tra cui il timore, ad un certo momento, che, durante una traversate transatlantica, si fosse persa l’unica copia della partitura) portarono alla rescissione del contratto. Venne, però, onorato da Mary Garden (che aveva creato il ruolo della protagonista in “Pelléas et Mélisandedi Claude Debussy) quando prese la guida del teatro della capitale dell’Illinois. Andà in scena il 30 dicembre 1921 come favola adatta al periodo festivo.

UNA SATIRA AGRO-DOLCE

Il libretto è una satira agro-dolce, ma pungente, del potere e dei sicofanti (specialmente gli intellettuali) che lo contornano. La fiaba è situata nel Regno del Re di Coppe, di cui si prepara la successione. A personaggi consueti nel mondo delle favole (quali la Fata Morgana, le principesse che sbucano da melarance, i Primi ministri intriganti e le nipoti infedeli) si affiancano le maschere della commedia dell’arte (Pantalone, Truffaldino, Farfarello) con i loro lazzi e frizzi. Non è chiaro se Prokofiev guardasse alla Russia degli Zar (appena sparita) od a quelle dei nuovi poteri sovietici (da cui restò lontano per diversi anni prima di tornare in Patria e convertirsi all’ortodossia del regime, anche in campo musicale).

FANTASIA, IRONIA, AZIONE E DIVERTIMENTO

Ancora più ironica la partitura in cui Prokofiev, con tocchi ben studiati, prende in giro l’opéra lyrique francese il musikdrama wagneriano, nonché i propri contemporanei (specialmente Debussy). Non se le prende con il melodramma verdiano ed il verismo italiano unicamente perché, dal suo punto di vista di giovane compositore del nuovo secolo, non li considerava neanche degni di ironia. Il lavoro non è però un divertissement intellettuale per eruditi. Il ritmo è velocissimo. Il jazz, il fox-trot, lo swing , le marcette si inseriscono perfettamente in arie, declamato, concertati ed interventi continui del coro. Prokofiev si era proposto di creare un teatro in musica basato su fantasia, ironia, azione e divertimento, tale da poter gareggiare (presso il pubblico) con i film di Charlie Chaplin e dei Fratelli Max. Quindi, un po’ futurista ed un po’ dadaista. Proprio per il suo ritmo rapido e la sua capacità di coinvolgere il pubblico (se si entra nel gioco), “L’amore delle tre melarance” è spesso rappresentato non solo in Russia, Stati Uniti e Germania, ma anche in Francia. Ricordo una co-produzione recente del Festival di Aix en Provence e del Real di Madrid che ha girato mezza Europa, ma non si è vista in Italia.

IN SCENA A FIRENZE

A Firenze, come mostrano, i bozzetti di scene e costumi, si sta per mettere in scena un allestimento di livello con la regia di Alessandro Talevi e la direzione musicale di Juraj Valćuha

 

 


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