L’altro giorno ti arriva una comunicazione in cui ti si dice che l’incartamento che hai inviato, preceduto s’intende, dalla copia digitale dello stesso che hai anticipato via “pec”, non può essere accettato dall’Ente perché manca la copia digitale della documentazione. La copia digitale è, appunto, “espressamente richiesta”.
Non riuscendo a darti pace e spiegazione di come possa essere accaduto simile equivoco, avendo tu tra le mani la ricevuta della “pec”, prendi e ti parti alla volta del pubblico ufficio, sperando di poter interloquire con il pubblico funzionario e fare lumi sull’accaduto. Hai il sole alle spalle mentre ti muovi da Est verso Ovest di buon mattino facendo curve e controcurve in un mare di giallo. In cuor tuo speri di non averlo di nuovo di spalle alla sera.
Il funzionario ti accoglie con moderata solidarietà. Vorrebbe pure aiutarti ma il problema, a suo dire, pare irrimediabile. Perché, appunto, la copia digitale non c’è. Al che tu ribatti: – Ma io ho la ricevuta della pec. Quindi l’avete ricevuta -. E lui, il pubblico funzionario, dal tono sempre amicale: – E lo so che la pec l’abbiamo ricevuta. E’ là sopra quei fascicoli. L’ho lasciata lì per fartela vedere. Non vedi, un foglio è. Sempre carta. La copia digitale è “espressamente richiesta” -.
Al che la tua cravatta ti si stringe al collo facendosi grande come un enorme punto interrogativo. Sei disorientato. Hai delle crisi di identità. Inizi a capire cosa è capitato e adesso hai ancora più paura a dire. Perché ci vuole tatto, adesso. Il tuo interlocutore, bestia con tre “b”, va aiutato a smorfiare l’accaduto senza che l’epifania dell’i-gnoranza possa in qualche modo aggravare la tua posizione protocollare. Sono secondi interminabili. Ti passa tutta la vita davanti. Quella prima della “pec” che forse non era poi così male. Pensi a qualche tuo lontano parente che, al posto di studiare muratura, l’aveva praticata e basta. Pensi pure a Kafka, ma reprimi questo pensiero per rispetto del ceco che ci vedeva così bene. E pensi a Giovanni Drogo. E ti dici che quelli almeno erano Tartari. Ma qua, qua siamo all’ignoranza totale che si è fatta crosta. Da dove cominciare dunque?
Insomma, cominci e vai avanti su e giù per tutti i sentieri della dialettica. Chiami a raccolta tutti gli anni di scuola per trovare una via intellegibile verso la chiarezza. E risalendo dall’inchiostro fino alla stampante dell’Ufficio Protocollo, a cavalcioni sul cavo parallelo, con un piede su di un pin e una mano sul mouse ecco che finalmente trovi il computer nel cui grembo i tuoi files, ancora collegati al cordone ombelicale della tua pec, fluttuano beati. Tutto è svelato.
Lui, il funzionario, ti stringe la mano, rigorosamente e burocraticamente, assicurandoti che la lettera che ti aveva spedito e in cui ti informava che la pratica era stata rigettata verrà annullata. Già.
Inghiotti amaro saliva e fiele e incroci le dita. Rimonti in macchina e torni indietro. Curve e controcurve. Il sole è proprio sulla tua testa, poteva andare peggio. E’ tutto giallo intorno, ma tu vorresti che fosse il Lete quell’oceano di spighe. Per dimenticare tutto. Subito. E svegliarti d’un tratto scoprendo che la tua mezza mattinata deve ancora incominciare.
Quando Livyatan, bestia con 3 b, ammette ignoranza
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