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Raffaele Cantone visto da Raffaele Cantone

Ripubblichiamo l’articolo di Rossana Miranda uscito sulla rivista Formiche del dicembre 2008

“Ricordati di mandare l’invito a Cantone”, disse il boss a uno dei suoi famigliari. Francesco Bidognetti era in carcere e voleva sapere tutti i particolari dell’organizzazione del matrimonio di sua figlia. Alla fine, il pensiero per il magistrato che l’aveva fatto mettere dentro. Quando Raffaele Cantone udì il suo nome pronunciato dal boss Bidognetti durante un’intercettazione telefonica, sapeva che quell’allusione, strana, non era casuale. Perché quel riferimento a lui, in una conversazione così privata? Il riferimento suonava già come un allarme, una minaccia, un segnale per fargli sapere che i capi della mafia di Casal di Principe lo tenevano sempre presente. E, ovviamente, quel pensiero non era dei più amichevoli.

L’INCUBO DEI CASALESI
Da quando si è occupato anima e corpo delle malefatte del clan dei Casalesi, Cantone è uno degli obiettivi principali. Un nemico giurato. Il giudice più odiato dalla camorra casertana. Assieme allo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione, Cantone è uno dei bersagli ricorrenti delle minacce di morte del crimine organizzato in Campania. Da anni è oggetto di telefonate, diffamazioni, messaggi, lettere firmate e anonime, dove si fa un resoconto esatto di tutti i movimenti suoi e dei suoi cari.

Ma a differenza di altri personaggi, diventati simboli della lotta alla criminalità organizzata, Cantone non parla di una missione moralizzatrice per cambiare il mondo. A muovere l’ex pm della Direzione distrettuale antimafia (Dda) è semplicemente – anche se in una realtà complessa e pericolosa – il senso del dovere, il voler fare bene il suo lavoro ed una fiducia smisurata nei meccanismi della giustizia e del diritto. Si è trovato quasi per caso in prima linea contro i Casalesi, ma non è fuggito al suo destino e non si è arreso.

IL SOGNO DA MAGISTRATO
Nato a Napoli nel 1963, Raffaele Cantone è cresciuto a Giugliano, un paese segnato da sempre dalla guerra della camorra. La passione per la giustizia lo ha fatto diventare magistrato, contro il parere dei suoi genitori che, anche se non avrebbero mai ostacolato la sua scelta, non erano entusiasti. Cantone aveva vinto un concorso per un posto a tempo determinato all’Inail, ma la sua vocazione per il diritto penale gli ha fatto cambiare idea e lo ha sottratto alla tranquillità burocratica. Solo uno zio, maresciallo di Finanza, era contento della scelta del nipote. Era stato lui a informarlo che c’erano 160 posti liberi in magistratura. Dopo molti sforzi e notti di studio, in una piccola stanza a Roma, uno di quei posti è diventato suo.

IL RAPPORTO CON ROBERTO SAVIANO
Roberto Saviano ha definito Cantone come un uomo che “comprende come il diritto sia uno strumento fondamentale per concedere dignità di vita… dove la regola non soffoca l’uomo ma è l’unico strumento per concedergli libertà”. I due si conoscono da tempo, da quando Saviano si faceva raccontare un po’ di storie dal magistrato. Per questo Cantone difende la “veracità” nella narrazione di Gomorra (Mondadori, 2006).

Su consiglio dello scrittore, oggi è il magistrato a scrivere del Sistema, così si chiama oggi la Camorra. Saviano ha consigliato a Cantone, che conosce il mostro della mafia da vicino, di scrivere la sua quotidianità, gli anni sotto scorta, quella dura routine di un magistrato in terra di camorra e le pesantissime ripercussioni sulla propria famiglia. Il risultato è Solo per giustizia (Mondadori, 2008), un libro dove racconta in prima persona 10 anni di vita come magistrato della Dda, dal 1997 al 2006.

LE SOMIGLIANZE CON GARZON
Per alcuni aspetti, Cantone ricorda Baltasar Garzón, il giudice spagnolo che da 17 anni lavora contro il terrorismo e l’impunità. Ha portato avanti i processi contro il generale cileno Augusto Pinochet, ha riaperto i casi dei “desaparecidos” durante la dittatura in Argentina e il regime di Franco in Spagna. Come Cantone, Garzón vive sotto scorta da anni, minacciato dai terroristi dell’organizzazione Eta e i gruppi potenti che hanno visto toccati i loro interessi; come Cantone, Garzón ha esorcizzato in maniera intima e personale attraverso il libro Un mondo senza paura (Baldini Castoldi, 2005), le sue ragioni e i suoi sensi di colpa, verso i cari. Un testo dedicato ai figli, che gli rimproverano il fatto di non avere una vita normale, ma allo stesso tempo a tutti i giovani del mondo, cui si rivolge pubblicamente.

LE NUOVE GENERAZIONI
Le nuove generazioni sono una preoccupazione anche per Cantone. In un’occasione ha fatto un intervento sulla legalità e l’importanza di rispettare le regole nella vita quotidiana in una scuola a Casal di Principe. In aula era presente il figlio di uno dei boss dei Casalesi. Di fronte alla assoluta indifferenza dei ragazzi verso gli aspetti astratti del diritto, Cantone ha provocatoriamente parlato di camorra di Casal di Principe come “una delle sue indiscusse capitali” della camorra, contestando i presunti valori che questa produce, cioè il denaro e l’onore. Alcuni ragazzi hanno reagito intervenendo nel dibattito che ha acceso una piccola speranza nel magistrato.

UN’ALTRA MAFIA
Il mondo cambia e con esso anche il concetto di mafia. Un altro pm della Dda, Franco Roberti, crede che i Casalesi siano l’evoluzione, se così si può dire, della specie. I nuovi mafiosi hanno un rapporto mimetico con le istituzioni, la loro forza sono il denaro e le relazioni imprenditoriali, non più l’intimidazione o il vincolo di omertà. Per questo i metodi di combattimento e gli antidoti devono adeguarsi a queste trasformazioni. In questo senso la comunicazione gioca un ruolo fondamentale e Cantone lo sa. Per questo si considera uno di quei magistrati che non lavorano nell’ombra ma informano, rendono partecipe la comunità, nella formazione di una coscienza civile, unico antidoto reale all’illegalità. Cantone non cerca popolarità. A differenza di Garzón, per esempio.

Il magistrato napoletano ricorda bene la riflessione di un suo collega durante una conversazione nella quale si criticava Giovanni Falcone prima della tragedia: “Quel che si perdona difficilmente è il successo di un altro magistrato… un supergiudice dimostra soltanto quanto tutti gli altri siano poco super”. Cantone non si sente un supereroe, capace di dare il sangue in nome della giustizia. Cantone crede, e forse spera, di essere una persona comune, uno dei tanti funzionari che combattono ogni giorno, con poche armi, contro la mafia. Un uomo comune che vuole credere ancora nella giustizia.



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