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Russia e Cina, il nuovo asse tra forza e contraddizioni

Shanghai aspetta Putin. Gazeta.ru mette in questi termini la sostanza della visita che il presidente russo inizia oggi a Shanghai. La faccenda non è però cosi semplice. Primo perché Mosca delusa dalla posizione occidentale sulla Crimea ha intenzione di cambiare le priorità, riorientando la propria politica estera verso Pechino e gli altri paesi asiatici. Secondo perché quanto avverrà oggi e domani tra la potenza emergente, Cina, e quella decaduta, Russia, verrà seguito con molta attenzione dagli Stati Uniti. Impossibile pensare che i vari progetti di collaborazione, politica, economica e finanziaria, progettati dai due paesi possano prescindere dagli Usa. La potenza, sempre più incerta degli ultimi tempi, si è però autodefinita “pivot” della regione asiatico-oceanopacifico. Spazio che si annuncia essere il vero campo di battaglia del futuro potere globale. Questa la cornice dentro la quale il presidente russo Vladimir Putin e il nuovo uomo forte cinese, Xi Jinping, cercheranno di avvicinare le strategie dei propri Paesi.

L’ANNESSIONE ALLA CRIMEA

Paradossalmente però sono state proprio le ultime mosse di Mosca a mettere in evidenza i limiti di Pechino come attore di peso nel panorama internazionale. L’annessione russa della Crimea, cosi come era successo con l’intervento in Georgia nel 2008, ha posto la leadership dell’Impero di mezzo davanti a un dilemma. Come conciliare la denuncia del diritto di ingerenza, vero e proprio pilastro della politica estera di Pechino e della sua capacità di seduzione in Africa, Medio Oriente e America latina, con la necessità di preservare il partenariato strategico con Mosca, meno solido di quanto possa sembrare a prima vista? Nonostante al Consiglio di sicurezza sulle risoluzioni ucraine, abbia sempre sconfessato Mosca, Pechino non intende fare da sponda alla strategia occidentale.

IL MANTRA CINESE

L’annessione della Crimea e gli interventi russi in Ucraina non devono portare all’isolamento russo, ecco il mantra cinese. In questo senso l’avvenimento tutto sommato minore, la Conferenza sulla cooperazione e le misure per la fiducia reciproca in Asia, (CICA), che tra poche ore si aprirà a Shanghai, potrebbe inviare segnali importanti. Pechino fa sapere che non ci sarà solo una dichiarazione comune “pesante”. L’ordine del giorno ufficioso delle due diplomazie parla di accordi sui cambi valutari di yen e rublo attraverso cui facilitare scambi commerciali e investimenti reciproci. I cinesi vorrebbero inoltre offrire a Mosca il partenariato con Union-Pay. La carta di credito della potenza asiatica potrebbe essere l’alternativa a Visa e Master Card.

LE MONETE ELETTRONICHE

Le due società di monete elettroniche, in linea con le sanzioni Usa, in Russia hanno già soppresso alcuni servizi. In occasione dell’incontro di Shanghai, il presidente russo ha invitato tutti i ministri dell’esecutivo Medvedev a mettere nero su bianco le proposte con cui intendono contribuire alla cooperazione russo-cinese. Le delegazioni si confrontano sulla base di 48 bozze di accordi. Non tutti verranno però sottoscritti. Anche il contratto più atteso, quello sul gas, a quanto pare dovrà attendere tempi migliori. Come al solito lo scoglio su cui si è arenata corazzata energetica russa è il prezzo. È cosi da oltre 20 anni ma negli ultimi tempi qualcosa è cambiato. Secondo quanto sottolineato ad aprile dal governo russo la fase negoziale dovrebbe concludersi presto. Possibile che l’accelerazione del Cremlino sia conseguenza degli avvenimenti ucraini. Dando cosi al partner-avversario cinese maggior potere contrattuale.

IL PREZZO DELLE FORNITURE

Già lo scorso anno Pechino aveva cercato di legare il prezzo delle forniture energetiche russe a quello praticato dallo Henry Hub di Erath nella Luisiana, punto di riferimento dei contratti spot Usa. A seguito della rivoluzione statunitense dello shale, i prezzi erano però crollati a 140-150 dollari per mille metri cubi di oro azzurro. Quasi un umiliazione per Gazprom. Ora però secondo l’agenzia Reuters il colosso energetico russo sarebbe pronto, in cambio di anticipi dell’ordine di “alcuni miliardi di dollari”, a dare energia all’Impero di mezzo a un prezzo tra i 358-393 dollari. Anche in questo caso conviene partire dalla realtà. Per ora tra i due paesi esiste un contratto che detta le condizioni per far nascere entro il 2018 una conduttura in grado di trasportare 38 miliardi di metri cubi l’anno di oro azzurro verso la Cina nordorientale. Più o meno quanto, attraverso Nord Stream, ogni anno raggiunge la Germania. La capacità del gasdotto potrebbe aumentare di altri 20 miliardi di metri cubi l’anno mentre è in programma un’altra pipeline verso la Cina nordoccidentale il cui volume dovrebbe essere pari ad altri 30 miliardi di metri cubi. Costi previsti dell’operazione, 60 miliardi di dollari di cui Pechino dovrebbe anticipare la metà ad interessi zero.

IL MIX ENERGETICO DI PECHINO

Per il mix energetico cinese i futuri rifornimenti russi coprirebbero il 72 percento di tutto il gas importato oggi e il 21 percento di quello consumato. Aleksej Grivach, vice responsabile della Fondazione per la sicurezza energetica nazionale, ritiene che alla fine la Cina si porterà a casa gli idrocarburi pagandoli 280 dollari ogni mille metri cubi di gas. Lo sconto applicato ai 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno che in futuro Mosca dovrebbe fornire a Pechino, e preso come riferimento il prezzo medio, 400 dollari, pagato dagli europei, per l’erario russo si tradurrebbe in una una perdita di circa 8,1 miliardi di dollari l’anno. Al momento però i rifornimenti russi verso Pechino sono quasi nulli, mentre la Cina è il primo cliente energetico del Turkmenistan. Un privilegio che in futuro Ashgabat potrebbe cedere a Mosca. Se cosi fosse la Cina, diventerebbe il secondo partner delle materie prime federali dopo l’Europa. Ma anche in questo caso l’Ue, con il quadruplo dei rifornimenti rispetto alla Repubblica popolare, continuerebbe a essere il partner chiave dell’export russo. Mosca, come affermato la scorsa settimana da un manager Gazprom, sogna il giorno in cui l’azienda, svegliandosi al mattino, possa decidere semplicemente in base al prezzo se sia più conveniente inviare idrocarburi a occidente o a oriente. Giorno ancora lontano visto che al momento tutti i gasdotti russi puntano l’Europa.

PROVA DI OTTIMISMO

Putin nella sua intervista ai media cinesi di lunedì fa prova di ottimismo. Secondo i suoi dati nel 2020 gli scambi commerciali complessivi dei due paesi dovrebbero arrivare a 200 miliardi di dollari, lo scorso anno sono stati 90 miliardi di dollari. Più realisticamente il ministero dello sviluppo economico federale afferma che nel 2020 il commercio russo-cinese potrebbe raggiungere 100 miliardi di dollari.
Il business con Pechino è parte indispensabile della strategia euroasiatica del Cremlino. Il piano, rilanciato dai contrasti ucraini con Bruxelles e Washington, finora si è rivelato tutt’altro che un asso per Putin. Le nuove ambizioni di Mosca mettono sempre più in allarme gli ex stati sovietici dell’Asia centrale.

IL TALLONE D’ACHILLE

Una prova del malessere è venuta dal rifiuto del presidente kazako, Nursultan Nazarbaev, di recarsi a Mosca lo scorso otto maggio in occasione del summit dell’Organizzazione del trattato sulla sicurezza collettiva. La rinuncia, segnalata dai media russi, ha portato all’annullamento del vertice. Ma il vero tallone d’Achille di Mosca è il petrolio. Qui la Russia dipende sensibilmente dalla cooperazione Usa. Gli Stati Uniti dispongono di strumenti, competenze e conoscenze per estrarre l’oro nero al largo delle coste russe o dalle profondità ghiacciate dei territori federali. Per ogni barile estratto, Mosca spende dai 25 ai 40 dollari, tre volte di più dell’Arabia Saudita.

IL PREZZO DEL PETROLIO

Il prezzo del petrolio è inoltre la variabile fondamentale del bilancio di Mosca. È oggi questo si trova al punto limite, 110 dollari al barile. Sotto questo prezzo il tesoro dovrà indebitarsi, un passo al momento estremamente caro, oppure tagliare il proprio Welfare. Ovviamente anche la Russia ha i mezzi per reagire, ma si tratta di armi a doppio taglio. Come quelle americane d’altronde. Anche a Oriente però non tutto fila liscio. Li c’è la nuova Cina e Pechino non vuole una Russia veramente forte e stabile.


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