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Ecco perché la guerra civile rischia di affossare il Sud Sudan

Il Paese più giovane del mondo rischia di essere travolto dalla guerra civile e da una terribile carestia. Dopo il fallimento degli accordi di pace del 9 maggio, il Sud Sudan continua a essere teatro di un massacro che ha già fatto migliaia – se non decine di migliaia – di vittime. Oltre un milione e 300mila persone sono state costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire agli scontri tra le forze governative e le truppe ribelli fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar. In una situazione umanitaria sempre di più critica, 3,2 milioni di persone – su una popolazione complessiva di oltre dieci milioni di abitanti –rischiano la fame.

LA DENUNCIA DELLE AGENZIE

A denunciarlo sono diverse agenzie umanitarie, che sottolineano come un mancato intervento costringerebbe “milioni di persone a pagarne il prezzo”, nelle parole del capo esecutivo dell’ong Oxfam. Anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) ha lanciato l’allarme, spiegando – in una nota diffusa in seguito alla pubblicazione di uno studio condotto tra aprile e maggio – che lo spettro della fame è alimentato dallo sfollamento delle popolazioni, dal crollo dei mercati e dalla distruzione dei mezzi di sostentamento. “La catastrofe alimentare può ancora essere evitata”, ha scritto Mike Sackett, direttore del Programma Alimentare Mondiale (Pam) nel Paese, “ma le agenzie umanitarie devono poter raggiungere decine di migliaia di persone in stato di necessità prima che sia troppo tardi. È assolutamente fondamentale fermare i combattimenti e gli altri ostacoli che possono impedire la distribuzione degli aiuti”.

IL PERICOLO DI CARESTIA

Anche il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, in un’intervista alla Bbc ha evocato il pericolo di una carestia nel Paese e ha accusato i ribelli di esacerbare le tensioni etniche. In realtà diversi analisti suggeriscono che entrambi i leader delle parti in lotta abbiano perso il controllo delle loro truppe e che il conflitto stia assumendo sempre più i contorni di uno scontro tra le due principali etnie del Paese, con i Dinka che sostengono Kiir e i Nuer schierati con Riek Machar. Le due tribù combatterono fianco a fianco la ventennale guerra civile contro il Sudan, in cui un milione e mezzo di persone persero la vita, conclusasi con gli accordi di pace del 2005, che spianarono la strada al referendum di gennaio del 2011, quando si decretò l’indipendenza del sud.

TENSIONI LATENTI

Da allora le tensioni latenti tra i due gruppi si sono intensificate sempre più e sono esplose a dicembre, quando nei primi scontri per le strade di Juba sono morte cinquecento persone. Machar continua a chiedere la destituzione di Kiir, incolpato di accentrare il potere nelle sue mani, mentre l’Onu ha accusato entrambe le parti di crimini contro l’umanità, tra cui uccisioni e stupri di massa. Kiir ha posticipato la data delle elezioni previste per il prossimo anno per dare al governo e alle forze ribelli più tempo per raggiungere un compromesso.

LOTTA PER IL CONTROLLO

Per rafforzare la propria posizione nei negoziati per la pace, i due gruppi stanno cercando di assicurarsi il controllo di ampie zone del territorio, in particolare delle città più importanti e degli impianti petroliferi. “Il petrolio è un rilevante motore del conflitto”, ha confermato Emma Vickers di Global Witness, l’ong specializzata in conflitti per le risorse naturali. Un aspetto sottolineato anche dall’International Crisis Group, secondo il quale i pozzi petroliferi che generavano centinaia di milioni di dollari e rappresentavano il 98 per cento degli introiti dello stato sono diventanti “obiettivi strategici fondamentali” del conflitto.

MOLTI GIACIMENTI, POCHE INFRASTRUTTURE

Ricco di giacimenti e di risorse naturali, ma povero di infrastrutture, il Sud Sudan è dipendente dai vicini per ogni rifornimento. Per questo la spirale di violenza rischia di travolgere anche altri Paesi della regione, in particolare l’Etiopia, che ha sponsorizzato i colloqui di pace tra il governo di Juba e i ribelli e che ha già accolto migliaia di profughi in fuga dal Sud Sudan.


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