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Ttip, l’accordo delle meraviglie può nuocere alla salute?

Scambi commerciali in grado di risollevare l’Unione europea da una crisi con strascichi lunghi anni, nuovo boom occupazionale e fiducia ritrovata. Dovranno essere questi i meriti del Trasatlantic Trade and Investment Partnership, con la creazione di un’area di libero scambio tra Ue e Stati Uniti. Ma a destare più di un dubbio nelle stanze dei negoziati in corso è la previsione della cooperazione normativa tra i due blocchi, protagonisti finora di numerose dispute in materia di fronte agli organi giuridici del World Trade Organization. Addio all’indipendenza legislativa europea?

LE DUE DIREZIONI DELL’INTESA

L’accordo dovrebbe agire essenzialmente in due direzioni. Da un lato, si intende aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, abbattendo i dazi doganali per tutte le merci: dall’altro, si punta ad uniformare e semplificare le normative tra le due sponde dell’Atlantico, abbattendo le divergenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB) e consentendo così una sana competizione.

I NUMERONI DELL’ACCORDO

I sostenitori dell’accordo sottolineano che questa mossa aumenterebbe il volume degli scambi e in particolare le esportazioni europee verso gli Usa (si stima un buon 28%, con speciale incremento nel settore automobilistico e mettendo 545 euro l’anno in più nelle tasche di ogni famiglia), e creando così una rete in grado di ridurre il peso relativo della Cina.

Una manna dal cielo in grado di falciare quei cavilli di natura amministrativa che rappresentano un aggravio importante per le società che vogliono vendere i loro prodotti su entrambi i mercati. Per esempio, quando un’auto è omologata in Europa, ha bisogno di un’ulteriore procedura di approvazione negli Usa, nonostante le norme sulla sicurezza in questo settore siano simili.

IL PRINCIPIO PRECAUZIONALE EUROPEO

Ma qualche obiezione esiste, e riguarda, attraverso la previsione della cooperazione normativa, la tutela della salute che, a livello legislativo, in Europa si fonda sul principio giuridico della “precauzione”. L’attenzione di Bruxelles non è infatti concentrata solo su particolari tipi di prodotti a rischio, ma anche sulle tecniche di produzione e sulle caratteristiche fisico-chimiche di tali merci, i cui parametri sono contenuti in vari accordi internazionali, ed in particolare nell’Accordo sull’applicazione delle Misure Sanitarie e Fitosanitarie (SPS) del 1995, nell’Accordo sulle Barriere Tecniche al commercio (TBT) dell’OMC del 1994 e nel Codex Alimentarius FAO/OMS.

Il tema della sicurezza alimentare è divenuto di estrema attualità nel corso degli ultimi tempi soprattutto a causa delle gravi epidemie che hanno colpito specie animali destinate al consumo umano, come nel caso della celebre vicenda della mucca pazza, e dell’emergere di nuovi “rischi”, si veda il sempre più frequente utilizzo di organismi geneticamente modificati in agricoltura, nell’allevamento e nei prodotti alimentari. Per questi motivi il principio di precauzione, riconosciuto a volte addirittura come consuetudinario, è diventato protagonista incontrastato dei dibattiti della dottrina internazionalista.

LE POSIZIONI DI USA ED UE

Anche se il principio precauzionale deriva in linea di massima da un simile concetto già presente nel diritto interno tedesco (Vorsogeprinzip), nel corso degli anni Novanta hanno cominciato a confrontarsi, e talvolta a scontrarsi, due diverse concezioni legate alla sicurezza alimentare, che in via di semplificazione, possono dirsi rappresentate dalle posizioni degli USA e dell’UE.
La prima concezione, basata su un approccio che si potrebbe definire “preventivo”, vede nella sicurezza alimentare un fine a cui tendere per rendere giustizia alle esigenze legate alla salute umana, ma che non deve spingersi fino a mettere al bando prodotti destinati al consumo umano la cui possibile o probabile dannosità non sia già provata. La seconda concezione, basata invece su un approccio definibile come “precauzionale”, vede nella sicurezza alimentare un obiettivo da raggiungere che deve comportare la tendenziale ricerca del raggiungimento di un livello di rischio minimo, legato alla messa in commercio e all’utilizzo di sostanze destinate al consumo umano. In base a tale seconda concezione, il fine della sicurezza alimentare deve essere tendenzialmente sempre raggiunto, anche al limite mettendo al bando prodotti dei quali la dannosità per la salute umana sia possibile o probabile, sebbene non fornita di piena prova scientifica.

Sono state le gravi problematiche legate alla materia della sicurezza alimentare, insieme con i numerosi casi di contrasto dell’Unione europea con il resto del mondo, a rendere necessaria anche un’istituzione, l’EFSA (European Food Safety Authority), che si prefigge lo scopo di sensibilizzare, di valutare i rischi associati alla catena alimentare e di spiegare le implicazioni del suo operato in ambito scientifico. Il suo obiettivo è quello di fornire comunicazioni adeguate, coerenti, accurate e puntuali su questioni di sicurezza alimentare a tutte le parti interessate e al pubblico in generale, sulla base delle valutazioni del rischio effettuate dall’Autorità e della sua esperienza scientifica.

I TRATTATI OMC SULLA SALUTE BISTRATTATI DALLA CORTE UE

E, nonostante gli Accordi OMC forniscano alla Corte di giustizia UE una delle principali occasioni che le si presentino di applicare il diritto internazionale convenzionale nell’ordinamento giuridico comunitario, dall’esame della giurisprudenza comunitaria emerge il carattere assolutamente peculiare di questi accordi rispetto ai numerosi altri conclusi dall’UE. Con giurisprudenza costante, la Corte ha infatti affermato che “tenuto conto della loro natura e della loro economia, gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie”, e ha escluso qualsiasi possibilità di invocare tali Accordi, così come l’idoneità degli stessi a fornire il fondamento di una pretesa risarcitoria.

LA COOPERAZIONE NORMATIVA PREVISTA DAL TTIP

Strada indipendente quindi, quella scelta finora sul piano della tutela della salute dal Vecchio Continente. E i temi che sarebbero soggetti a disciplina normativa comune dal nuovo accordo, sarebbero proprio quelli delicati degli Ogm, dell’uso dei pesticidi, dell’obbligo di etichettatura del cibo, delle soglie per la valutazione del danno ambientale delle imprese, dell’uso indiscriminato del fracking per estrarre il gas di scisto, della protezione dei brevetti farmaceutici – tutti àmbiti nei quali la legislazione europea offre al cittadino-consumatore tutele maggiori che negli Usa.

I TIMORI DI STRASBURGO

Delle obiezioni sono state avanzate anche dal Parlamento europeo. In una risoluzione del 23 maggio 2013Strasburgo ha sottolineato “la delicatezza di certi settori delle negoziazioni, come quello agricolo, dove le posizioni e le percezioni sugli Ogm, la clonazione e la sicurezza del consumatore tendono a divergere tra Ue ed Usa”.

IL PUGNO DI FERRO DEGLI INDUSTRIALI TEDESCHI

Ma i dubbi vengono fugati dalle categorie più interessate dal TTIP. L’associazione industriale chimica tedesca, la Verband der Chemischen Industrie (VCI) , è “fermamente convinta che questo accordo contribuirà con successo alla crescita economica, con conseguente creazione di nuovi posti di lavoro su entrambe le sponde dell’Atlantico –  si legge in un rapporto datato 1 aprile 2014 -. Prerequisito sarà la volontà politica di eliminare ogni barriera commerciale e di giungere ad un’approssimazione normativa bilaterale”.

I COSTI DELLE DOPPIE VERIFICHE IN UE ED USA

L’eliminazione delle barriere non tariffarie, prosegue, sarà “più comprensiva e ambiziosa di quanto previsto in ogni altro accordo di libero scambio”, e includerà la cosiddetta “cooperazione regolamentare”. Che cosa significa concretamente? Di fatto, il progetto di collaborazione normativa va oltre la mera eliminazione delle barriere non tariffarie che potrebbero opporsi alle previsioni commerciali dell’Organizzazione mondiale del Commercio. Si prevede infatti la creazione di un “processo a medio-lungo termine di armonizzazione normativa”. Sulla scia del motto dell’accordo Transatlantic Business Dialogue (TABD) ‘approvato una volta, accettato dappertutto’. Un esempio? “La produzione dell’industria chimica, utilizzata in campo medico, è sottoposta a rigide verifiche da parte delle autorità di supervisione. Se i test sono confrontabili su entrambe le sponde dell’Atlantico, le parti potrebbero decidere un riconoscimento reciproco delle ispezioni del partner”.

GLI INTERESSI ECONOMICI E LE POSIZIONI POLITICHE SUL TTIP

“Secondo numerosi studi – continua l’Associazione tedesca – il più grande vantaggio ascrivibile al TTIP sarà proprio nel campo della cooperazione normativa. Basta considerare i costi legali sulle spalle delle società che operano in Usa ed Ue. Il potenziale dell’accordo varierà di settore in settore, a seconda della possibilità di omologare le relative legislazioni. E dove gli standard saranno effettivamente divergenti, con la cooperazione non si potranno ottenere i risultati sperati”. Ma questo processo normativo si accompagnerà ad una perdita di sovranità? In altre parole – sottolinea VCI – l’Ue continuerà a fissare elevati standard ambientali o climatici, per esempio, anche se negli Usa vigessero previsioni normative differenti? “VCI ne è convinta”, conclude il rapporto, e così si tenta di mettere fine ad ogni critica: “L’obbligatorietà della cooperazione non metterà in questione l’autonomia normativa europea. E’ deplorabile che i critici dell’accordo sostengano il contrario”. Garanzie in aumento, costi a picco: il dibattito è chiuso, più per gli industriali tedeschi che per la cancelliera di Berlino Angela Merkel, forse.

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