Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli a Giulio Tremonti apparsa su Italia Oggi.
Giulio Tremonti non molla. Più si parla d’Europa, come accade inevitabilmente in questi giorni che ci dividono dal voto, più il professore insiste sulle ragioni della crisi dei debiti sovrani e sulla soluzione per uscirne che per lui si chiama eurobond. Ma la conversazione, con lui, tocca anche e inevitabilmente la politica italiana di cui è stato a lungo protagonista, specialmente nel drammatico finale del governo di Silvio Berlusconi nel 2011.
Professore, a meno di un mese dal voto, si sente parlare molto, a volte sproloquiare, d’Europa. Lei, che negli ultimi anni se n’è occupato molto, con la politica attiva e anche coi suoi libri, come la vede?
L’antica, mitica idea dell’Europa, un’idea che si fa «politica» fra le due guerre, incorporando suggestioni di varia fonte, liberali od autoritarie, anche idee double face, come l’idea della «Paneuropa». L’idea politica dell’Europa emerge infine con forza nel dopoguerra, dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, fino alla straordinaria conferenza, detta ad Atene nel 1955, da Albert Camus.
Poi l’idea politica si fa economica?
R. È così col metodo di Jean Monnet: «Federate i loro cuori e federerete i loro portafogli», diceva. Ma è solo con l’euro, che l’idea, prima politica poi economica dell’Europa, si fa assolutamente monetaria. È con l’euro che l’Europa si fa finanza e la finanza si fa moneta, integrando una sineddoche, ovvero una parte per il tutto. E ciò è stato possibile nel vacuum della politica. I popoli ormai identificano l’idea d’Europa con l’euro ed oggi identificano l’euro con la crisi. È per questo che per capire quello che sta succedendo bisogna fare la storia dell’euro.
E che storia è, professore?
R. Guardi, non conosco niente di più europeo di Goethe e niente di più goethiano del Faust, la storia di Mefistofele e della sua cambiale, la storia della trasformazione del reale in virtuale, la storia dello scambio tra la ricchezza che esiste in natura, l’oro sepolto sottoterra, e la ricchezza che esiste solo per convenzione, appunto la cambiale mefistofelica. È l’antica profezia dei «biglietti alati» che «voleranno tanto in alto che la fantasia per quanto si sforzi non li raggiunge». Per capire cosa è stato ed è l’euro, seguiamo appunto il volo dei biglietti alati, un volo che ad un certo punto si è quasi spezzato con la crisi.
Crisi che lei ha rappresentato, fin dall’inizio, usando l’immagine del videogame con la sequenza di mostri…
R. Arriva il primo mostro e lo abbatti ma, mentre sei lì che ti rilassi, ne arriva un altro più grande del primo.
Il primo, è quello del 2008…
Ed è arrivato in Europa dall’America, con la crisi dei mutui subprime. Ha investito le banche del Nord Europa, dall’Inghilterra all’Olanda, dalla Francia alla Germania. Banche che facevano una grossa e grassa parte dei loro bilanci, proprio con i rendimenti drogati che ricevevano dai titoli tossici. Oggi l’evidenza è che da quelle parti, ed in specie dentro la «Core Europe», una serie molto ampia e lunga di banche è stata nazionalizzata. L’impegno dei bilanci pubblici per i salvataggi bancari è oggi calcolabile più o meno pari a 800 miliardi di euro, dato questo che ci è appena stato riferito dalla Commissione europea. Miliardi investiti direttamente nella forma di garanzie. Gli interventi di salvataggio sono stati vastissimi nella «Core Europe» non sono stati necessari in Italia.
Ce ne ricordiamo. E il secondo mostro?
È arrivato con la crisi «sovrana» di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Islanda. E questo ci porta direttamente alla storia dell’euro. L’euro, creato nei laboratori più «illuminati» ha preso forma e avvio con un volo di «biglietti alati», un volo che si è sviluppato in un’atmosfera di non controllata euforia.
Ma non c’era la Banca centrale europea?
Alla Bce, è vero, non spettava la vigilanza sulle singole banche nazionali ma la Bce aveva competenza istituzionale e fondamentale per la stabilità sistemica dell’euro. È questa che è totalmente mancata. Da quando nel 2001 ho iniziato la mia esperienza nell’Eurogruppo, non ho memoria di interventi, anche solo come monito, come caveat, sulla finanza privata. E non solo questi sono mancati nel chiuso dell’Eurogruppo. All’esterno non c’è traccia di interventi o comunicazioni pubblici fatti dalla Bce sulla particolare materia.
Una Bce passiva, insomma…
La Bce stava alla finestra, con il fucile puntato sui bilanci pubblici, e non si accorgeva che la crisi veniva alle sue spalle ma proprio dalla porta che doveva vigilare, dalla finanza privata, dall’eccesso dei crediti e dei debiti privati. La finanza privata, i migliori indirizzi della «haute banque», da Francoforte a Parigi, agivano indisturbati, facendo scorrere fiumi di liquidità dove i rendimenti erano più elevati, è così che in Grecia sono state finanziate le Olimpiadi, le piscine, le Mercedes. È così che la Spagna è stata cementificata per edificare il sogno del posto al sole, il progetto non solo della seconda casa, ma anche della seconda vita, per i popoli del Nord. E poi il Portogallo, naturalmente, e l’Irlanda, trasformata in una portaerei per banche off shore.
Tutto sembrava andar bene, fino a un certo punto. Anzi, quasi a gonfie vele…
Tutto bene fino a che, appunto, non è arrivato il secondo mostro: la crisi «sovrana». Per capire cosa è successo vanno considerati due dati essenziali. Il primo: se fallisce il debitore, fallisce anche il creditore. Il secondo: le perdite non si fermano sui confini nazionali, ma arrivano per effetto di controparte direttamente nei bilanci dei creditori, anche se questi stanno in Germania, in Francia ecc. E questo è stato su di una scala quantificabile in termini di centinaia e centinaia di miliardi.
Cosa vuol dire, professore?
Voglio dire che nel rapporto tra le banche della «Core Europe» e la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda, si è prima accumulata e poi esplosa la variante europea dei «subprime». Non solo l’Europa ha importato all’inizio i «subprime» americani, ma poi se li è anche fabbricati in proprio. Quello che cerco di dire è che, via via che passa il tempo, è sempre più evidente come la crisi dell’euro non sia stata prodotta da un’oscura, imperscrutabile maledizione ma da una devastante serie di illusioni, di omissioni e di errori.
E noi, professore? L’Italia? Il sistema finanziario italiano?
Verso la Grecia per esempio, il sistema finanziario-bancario italiano era esposto a rischio per 20 miliardi, lo stesso rapporto c’era più o meno verso la Spagna, Portogallo e Irlanda. È questa la storia e l’origine della crisi dell’euro. Ciò che voglio dire è che all’origine della crisi, non c’è stata l’Italia ma gli altri, ossia non sono state la Germania e la Francia a salvarci ma sono state loro a salvarsi anche con i nostri soldi.
Dichiarazione tranchant. Facciamo un esempio?
Un caso per tutti: a oggi gli interventi fatti dall’Europa per «salvare la Grecia» sono più o meno pari a 200 miliardi, qualcuno sostiene anche 300. Se questi soldi fossero andati direttamente alla Grecia, oggi, ognuno dei i 11,28 milioni di greci invece di impoverirsi con la crisi, avrebbe ricevuto un dono pari a molte migliaia di euro a testa. In realtà i Greci si sono immiseriti e i soldi sono passati dalla Grecia ma solo per tornare indietro a salvare, non Atene, ma le banche creditrici. E un giro-soldi simile lo trova nel rapporto tra l’Europa e gli altri Paesi in crisi.
Lettura pesante…
È così. Si è mai chiesto perché per la prima volta nella storia gli Inglesi «salvano» gli Irlandesi?
Insomma, l’idea che l’Europa entra in crisi con la crisi «sovrana»?
Per la verità, è con questa che si manifesta il confronto tra due idee politiche dell’Europa. La prima idea è quella che prende forma nel consiglio Eurogruppo-Ecofin, del maggio 2010. La seconda idea è quella che prende forma, nell’ottobre dello stesso anno, con la passeggiata di Deauville, tra Nicolas Sarkozy e Angela Merkel.
Quali le differenze?
La prima di idea, quella di maggio, era basata su di una profonda riflessione politica: l’Europa deve prendere atto della fine reale dell’età coloniale, l’Europa non può produrre più deficit pubblici che prodotto interno lordo, l’Europa ha il 5% della popolazione mondiale, il 25% della produzione ma anche il 50% del «welfare state» a debito. Un assetto insostenibile. Non solo, la nuova struttura del mondo, prende ormai forma nel confronto tra masse continentali. Come Europa non possiamo più continuare con 27-28 politiche economiche diverse. Ed è per tutto questo che si concorda sulla formula politica unitaria della serietà sopra, ma anche della solidarietà sotto.
Vale a dire?
Serietà sopra, coordinando tra loro i bilanci pubblici, e riducendone la tendenza al deficit ma, sotto, un fondo «salva-stati» e base per emettere «eurobond». L’Italia ha molto contribuito nel 2010 a tratteggiare questo disegno, un disegno che credo ancora possa essere l’unico futuro possibile per l’Europa. L’Italia avrebbe contribuito al fondo «salva-stati» in ragione del suo Pil, più o meno il 18% di quello europeo.
L’idea opposta, invece?
Era quella del fondo «salva banche»: i profitti fatti negli anni dell’età dell’oro, restavano incamerati da chi li aveva fatti, le perdite dovevano invece essere socializzate alias europeizzate. Ne derivava che l’Italia, esposta più o meno per il 5%, avrebbe comunque dovuto contribuire, e senza ragione, per il 18%. Germania e Francia, in condizioni rovesce, non lo avrebbero mai fatto a favore dell’Italia. È per questo che è stato necessaria la chiamata del «podestà forestiero», come «autoprofetico» amò definirsi il non ancora senatore Mario Monti.
Quindi, anche lei è convinto che il Professore fosse l’uomo di Bruxelles?
Carta canta. Tutti gli atti di impegno datano 2012 e sono firmati da Monti. Non una ricostruzione antropomorfa del caso – le risatine ecc. – la vera ragione della caduta dell’ultimo governo eletto in Italia è stata questa: prendere i nostri soldi. In ogni caso, avremmo dovuto andare a votare. Perché qualcuno ha voluto che non si andasse alle urne?
Lo dica lei?
Perché c’era da pagare. E perché per farci pagare serviva un «podestà forestiero» nominato dai suoi amici.
Sì però, professore, l’Italia non godeva di ottima salute, diciamo…
Guardi, non voglio dire che allora i treni andavano in orario, che tutto andava bene. Ma userò le parole scritte ancora il 31 maggio 2011, nelle «considerazioni finali» della Banca d’Italia : La gestione della crisi è stata prudente, il pareggio di bilancio al 2014 «appropriato», la correzione richiesta all’Italia «inferiore» rispetto a quella necessaria per altri Paesi. Lo stesso tipo di considerazioni positive ci fu a fine luglio 2011, nel consiglio dei capi di Stato e di governo europei. È solo sette giorni dopo che arriva la lettera diktat di monsieur Jean-Claude Trichet. Nessun grande paese entra in crisi ed in una crisi profonda come quella che è orchestrata per l’Italia nel volgere di una sola settimana.
Gli spread erano volati, però…
Il perché lo chieda a Trichet che aveva annunciato l’intenzione di non comprare i titoli italiani se non a condizione di una restrizione di bilancio, con l’anticipo del pareggio al 2013, che ora tutti considerano demenziale.
Il governo Berlusconi, con lei ministro dell’Economia…
Proprio in questi giorni si dice che la fiducia è tornata ai livelli del 2010. E chi c’era nel 2010? In questi giorni si dice che lo spread è a 160, tra l’altro beneficiando della novità costituita da un’enorme massa di liquidità mondiale, si dovrebbe tuttavia ricordare che è stato mediamente a 130 per tutti i primi tre anni della crisi. La crisi italiana non solo è stata creata ad hoc, imponendo l’anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013, mentre oggi tutti dicono che è saggio fare l’opposto, ma è stata approfondita anche dai gravissimi errori, fatti per suo conto, dal governo tecnico e successivi. Chi semina vento, raccoglie tempesta.
Che, in questo caso, significherebbe?
Che un governo che, nella paura, ha fatto la sua causa fondativa, il suo oggetto sociale, a sua volta ha generato paura con i suoi interventi nocivi e sconclusionati…
Intende danni economici?
Non solo. Danni che si sono estesi alla politica. Ancora nel novembre del 2011, M5s era al 5%. Oggi l’Europa raccoglie in Italia quello che ha seminato, il male che ci ha fatto prima demonizzando tutta la politica e poi imponendoci i suoi tecnici. Oggi il 50% degli italiani si astiene alle europee ma non lo fa per delega positiva, per laissez faire, per un «ci fidiamo», lo fa per la ragione opposta, in forma ostile.
E fra chi vota, stando ai sondaggi…
Sotto, in quelli che votano, il 30% e forse più è a sua volta variamente ostile. In questi termini l’Italia è un’«application» molto particolare degli errori generali, delle miopie, degli egoismi che hanno caratterizzato l’origine e la gestione della crisi dell’euro e dunque dell’Europa.
Senta, ma non è che ci sia un terzo mostro in arrivo?
Speriamo che non arrivi. Anche se si sono in giro cento trilioni di dollari! I miei voti sono sulla speranza, ma per trasformare la speranza in qualcosa di più solido, è fondamentale tornare al disegno europeo tracciato nel maggio 2010. Non illudersi che quello che è stato fatto finora, sia stato fatto bene e per il bene dell’Europa. Si devono comprendere le ragioni degli errori e tutti ma proprio tutti, a partire da Germania e Francia, devono prendersi le loro responsabilità. Se hai un foglio bianco e tracci una linea verticale, e scrivendo il catalogo delle ragioni e dei torti, ti accorgi che le ragioni stanno tutte da una sola parte, vuol dire che stai sbagliando .
Agli «eurobond», che pure Jean-Claude Junker richiese con lei in un famoso articolo del Financial Times nel 2010, il candidato Ppe alla presidenza della Commissione pare aver rinunciato.
Sì, l’ho letto. Credo che un uguale «revirement» lo abbia fatto anche il suo concorrente Martin Schultz. Vediamo se resteranno su questa posizione anche quando il popolo europeo avrà fatto sentire la sua voce. Come puoi credere all’euro se non credi agli «eurobond»?