Grazie all’autorizzazione dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Massimo Mucchetti uscito oggi sul quotidiano l’Unità.
Due pesi e due misure. Non va bene. Gli arresti per le tangenti sugli appalti dell’Expo hanno riempito le prime pagine dei quotidiani per giorni e giorni, con cronache a largo raggio, retroscena, approfondimenti e prese di posizione sulla nuova Tangentopoli. Non poteva mancare, e non è mancata, l’immediata reazione del Governo e del Parlamento. Bene.
IL CASO SOPAF
Gli arresti di tre banchieri milanesi della Sopaf per le truffe ai danni delle casse o previdenziali di ragionieri, medici e giornalisti, invece, hanno suscitato assai meno clamore. Le cronache giudiziarie non sono mancate ovviamente, ma per lo più nelle pagine interne. Commenti zero, se si esclude Salvatore Bragantini sul “Corriere“, peraltro focalizzato sul caso finanziario. Gad Lerner ha notato tale silenzio sul suo blog, il Bastardo. Zero prese di posizione, almeno finora, anche da parte della classe politica. Non ci siamo. E allora dobbiamo porci qualche domanda e darci qualche risposta se vogliamo, come si usa dire parafrasando il premier, cambiare verso a questo Paese nel grande gioco dei poteri reali.
UNA QUESTIONE DI SOLDI
Tangenti e truffe sono reati economici. Partiamo dunque dai soldi. Le tangenti emerse finora dalle indagini della procura di Milano assommano a 1,2 milioni, un terzo dei quali può dirsi accertato. Le truffe al momento scoperte dalla medesima procura assommano a 79 milioni ed è possibile che ne emergano per altri 250-300 milioni a seconda delle valutazioni in corso da parte della cassa dei ragionieri. Le indagini non sono chiuse; i numeri potrebbero aumentare. E magari potrebbero emergere altri personaggi. I paragoni, perciò, non possono ancora essere definitivi. Ma, per quanto provvisori, la dicono lunga sulle malattie che insidiano il rapporto, di per sé legittimo, tra interessi pubblici e interessi privati.
IL MALAFFARE DELL’EXPO
Nel caso dell’Expo la dimensione effettiva del malaffare avrà il suo peso nel giudizio politico. Gli appalti dell’Expo sono tutti inquinati o lo sono soltanto alcuni, e di quale dimensione rispetto al totale? In sostanza, le furbate degli amici degli amici erano la regola o l’eccezione? E il denaro per intermediazioni improprie a scopo di ottenere favori negli affari è finito anche nelle tasche dei politici e dei loro fiduciari nell’alta burocrazia o è rimasto in mano a Primo Greganti, Gianstefano Frigerio e Luigi Grillo? Le percentuali sugli affari sono modeste rispetti ai fasti della Tangentopoli storica. E allora si tratta di capire se le creste erano fatte per “ringraziare” una politica stracciona, che “viene via” con poco perché ormai priva di autorevolezza ma non di potere, o se rappresentavano la mancia per modeste intermediazioni rese da veterani della corruzione e dai loro eventuali complici nell’amministrazione.
LE QUESTIONI POLITICHE
Comunque si concluda l’indagine, emergono due questioni politiche. La prima consiste nell’insufficiente capacità della politica e dell’alta amministrazione, che alla politica direttamente risponde, di governare la macchina degli appalti pubblici. La seconda questione consiste nelle regole di gara adottate post Tangentopoli che, per un’eterogenesi dei fini, fanno vincere chi offre ribassi in dumping, magari grazie a qualche informazione privilegiata, e poi si consola con subitanee riserve e revisioni prezzi prontamente concesse dall’amministrazione amica. Simili distorsioni vengono favorite dai governi locali e nazionali quando rinunciano a misurare i manager, a cominciare dai capi delle aziende maggiori, sulla base di una lettura professionale dei risultati in relazione ai mandati ricevuti. Nell’irresponsabilità generale, che copre le clientele vecchie e nuove, politiche e manageriali, alla fine alligna anche il malaffare.
IL DISASTRO SOPAF
Nel caso della Sopaf la dimensione, già grave, potrebbe diventare gravissima. Ma si fa solo cronaca giudiziaria con, al massimo, un ritrattino d’archivio dei fratelli Magnoni, in particolare di Ruggero, il quale, da alto dirigente della Lehman, aveva ottenuto la fiducia di Silvio Berlusconi, Carlo De Benedetti e Roberto Colaninno, e poi, da professionista in proprio, di Vincenzo Manes. Come per gli accusati di tangenti, anche per i fratelli Magnoni vale la presunzione d’innocenza. Certo, si potrebbero mettere in rilievo le relazioni con la politica di questi clienti e sodali eccellenti dei Magnoni, e far rilevare un trasversalismo analogo a quello dei vecchi cowboys delle tangenti. Ma in queste ore non è ancora scattata la corsa al ricamo malevolo e insinuante. Chi è socio di chi e ha finanziato chi e come. Un gioco che non di rado alimenta suggestioni superficiali e falsificanti. Tant’è. E però un dato politico enorme andrebbe già oggi posto in rilievo, e questo non accade. Il crac Sopaf rappresenta una storiaccia di sottrazione di risorse dalla società da parte dei soci maggioritari, i Magnoni, ai danni dei soci di minoranza. Ma lo scandalo che più interpella la politica è la truffa ai danni delle casse previdenziali. In particolare, interpella la politica che vorrebbe sostituire la previdenza pubblica con la previdenza privata perché così si fa in America.
IL RUOLO DELLA PREVIDENZA PRIVATA
Le casse di cui sopra sono enti privati, deputati però a un servizio di pubblico interesse e, come tali, sottoposti al controllo della Covip e di un paio di ministeri. Se la cassa dei ragionieri, che dovrebbero saperla lunghissima sui bilanci, e quella dei giornalisti, che per mestiere dovrebbero essere diffidentissimi, scelgono i fratelli Magnoni anche dopo la Lehman e si fanno truffare in questo modo, dobbiamo certo chiedere conto a chi, nelle casse, nell’authority e nel governo, doveva controllare come queste casse private a protezione pubblica affidano i denari dei propri contribuenti. Ma dovremmo chiederci anche se la ricerca di rendimenti allettanti come quelli promessi dalla Sopaf non siano quasi una scelta obbligata date le pensioni che le categorie si attendono dalle loro casse, e come tali generatori di rischi impropri. Vengono in mente i dubbi preveggenti del tanto vituperato Mastrapasqua e della professoressa Fornero. E allora dovremmo infine chiederci, andando oltre il caso Sopaf-casse, quanto siano credibili le assicurazioni private dopo quanto si è letto sulle malefatte dei Ligresti alla Fondiaria Sai e sulle astuzie dell’ex vertice delle Generali.
Forse è davvero arrivato il momento di ripensare il ruolo della previdenza privata, quella obbligatoria nelle categorie che ancora l’hanno e quella integrativa, entrambe in vario modo legate alla finanza, non per impedire alle persone di aderirvi ma per riconsegnare a ciascuno la facoltà di scegliere, in alternativa, la previdenza pubblica, legata all’evoluzione dell’economia reale del Paese, sia per la parte obbligatoria sia per la quota aggiuntiva che oggi chiamiamo integrativa.