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What spack you want from Emma?

Ora voi dovete spiegarmi perché una cantante italiana che partecipa a un evento canoro internazionale in una capitale europea dovrebbe conoscere per forza l’inglese. Proprio non capisco tutto questo rumore e tutti questi titoli a proposito del fatto che Emma Marrone, a Copenaghen, in occasione degli Eurovision Song Contest, non è stata in grado di parlare ai giornalisti in inglese.
Non toccatemi a Emma per favore. Una fimminazza così, i danesi slavati e sbiaditi come una maglietta colorata per cui si è sbagliato il programma in lavatrice, non l’hanno mai vista. Dalle Belenate alla povera Emma ora devono toccare pure le belinate in danese? Che, a pensarci bene, sono pure peggio perché oltre ai puntini sulle “i”, mettono pure i pallini sulle “a”. Una camurria.
Emma te ne dovevi fottere del protocollo globalizzato. Altro che inglese, gli dovevi dire: – Se volete, io vi parlo in salentino. E se fate ancora schiumazza, non vi parlo proprio e basta – . Scusate, se non è permesso più manco agli artisti di sfuggire al protocollo e di essere scorbutici e imprevedibili, a rendere questo mondo un po’ vario chi ci deve pensare qualche eclettico impiegato di banca, o qualche vigile urbano?
Ma che ne devono capire i danesi di una come Emma. Una cantante così giovane, così bedda, e con una voce già così piena di sfumature di vita. Così graffiante e carica di energia e agonismo che la ceretta se la può fare mentre si ascolta mettendo l’interno coscia davanti ai subwoofer. Che ne devono capire le danesine che per vedere un pelo devono sottoporsi alla prova del carbonio 12.
Ma non avete visto ad Amici che fine hanno fatto i bianchi senza di lei? Con quel prezzemolino a caposquadra che non mi ricordo manco come si chiama. Ci fosse stata Emma, visto anche l’altro caposquadra, almeno un paio di pantaloni in studio ci sarebbero stati.
E poi che Emma a Copenaghen non si sarebbe trovata bene era prevedibile. Avete mai provato a stare tre o quattro giorni in Danimarca? Tutti venerdì santo sono quei giorni. Di digiuno. Perché i danesi, che si credono i più perfetti del mondo, se Emma fa le gaffe in inglese, loro le fanno in cucina. “Fornelli” è parola intraducibile in danese. E a riprova di quanto è bugiarda la globalizzazione figuratevi solo che il ristorante che vince sempre da anni il premio come migliore ristorante del mondo è il NOMA, proprio di Copenaghen. Dove devi fare un anno di anticamera per poter trovare un tavolo e dove, però, ti può capitare una botta di cagozzo come è capitato a una delegazione di super ricconi che hanno trascorso il dopocena sul gabinetto, pardon water. Di qualche hotel a 5 stelle superecologico, ovvio.

E poi, comunque, questa storia dell’inglese è come la mania delle tre “i” che è stata, tra le altre, forse la più grande minchiata del governo Berlusconi. Un’epidemia peggio dell’aviaria.
La globalizzazione non mi pare che possa essere considerata un fenomeno positivo. Solo Aldo Cazzullo è convinto che tra i-phone e social network, i suoi figli saranno più garantiti di uno che cento anni fa prendeva un piroscafo e andava all’America via Ellis Island. Perché, se globalizzazione significa omogeneizzare tutti gli individui di questo mondo, che è poi il solo mondo occidentale, beh a me pare che abbiamo imboccato la via dell’aceto. No, grazie dunque.
Come per il mondo del tennis. Oggi è pieno di bamboccioni che sparano pallonate e di figone che corrono a destra e sinistra con una resistenza che fa spavento. Si allenano allo stesso modo. Da piccoli, a tutti questi campioncini in erba, gli buttano il nitrato e lo zolfo nei piedi come fossero gli alberi della vigna ro zu Peppi. Crescono più degli altri, più robusti, più forti. E, poi, quando finiscono le partite vanno alla conferenza stampa a dire, tutti, le stesse minchiate in inglese per fare bello e sempre più piccioloso il marchio ATP tour che, following the sun, deve servire a far fare più money a quelli che hanno già tanti money. E’ tutto un circo itinerante di eventi quello che le major hanno in mente. E gli artisti sono ridotti a operazioni di marketing. Come quei quattro surciteddi degli One Direction. Pensate che a Torino non c’è più posto per dormire neanche sotto al ponte della stazione il 6 Luglio, quando i quattro bimbi col microfono in mano, tra una partita alla playstation e qualche conferenza stampa con i fan, rigorosamente in inglese sui social, inebrieranno un fiume di mani alzate dentro allo Stadio Comunale di Torino.
Forza Emma e abbasso l’inglese da conferenza stampa.

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