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Alla ricerca del voto utile, ma utile per chi vota

Circa metà degli elettori europei non sono andati a votare. Di chi ha votato, circa metà ha rifiutato le proposte tradizionali, nonostante fosse scontato che solo quello per i popolari e i socialisti fosse il voto utile.

Ma utile a cosa e a chi? A governare le istituzioni europee, proseguendo in una linea certo di minore austerità ma comunque di prudenza. Evidentemente però molti cittadini europei hanno ritenuto che quel voto non fosse soddisfacente, e che piuttosto per loro fosse utile scegliere un’alternativa. Rischia di risultare ingannevole il fatto che il voto alternativo sia frammentato in realtà diverse e incoalizzabili, finendo così per essere poco incidente dentro le istituzioni. E può portare a conclusioni semplicistiche anche il fatto che si sia trattato di elezioni europee, dove potrebbe essersi sfogato il voto di protesta contro un’Europa vista come responsabile (e capro espiatorio) di ogni male.

Sono i dati a smentire questa lettura: le forze alternative, da Grillo a Jobbik, da Le Pen a Tsipras, da Alba Dorata ai Veri Finlandesi, dall’Ukip alle sinistre regionaliste spagnole, crescono prima di tutto nelle elezioni amministrative e politiche dei loro rispettivi Paesi. Un nuovo esempio è la Spagna, dove i due partiti tradizionali sono scesi ad assommare il 50% dei consensi. Cosa c’entrano gli uni con gli altri movimenti di estrema destra e di estrema sinistra, ipernazionalisti isolazionisti e movimenti di protesta antisistema? Forse nulla, e questo può voler dire che presto diventeranno ininfluenti e comincerà il loro reflusso. Oppure un minimo comun denominatore c’è e allora il fenomeno ha un significato diverso e prospettive più lunghe.

Esploriamo questa seconda ipotesi. Cosa ha convinto molti elettori a votare per questi partiti? La risposta è in parte semplice: l’offerta di soluzioni alternative a quelle del mondo istituzionale. Il minimo comune denominatore di quegli elettori che hanno scelto Alba Dorata o Tsipras o Grillo è la voglia di cambiare strada, la sensazione che la linea delle forze “responsabili” non porti da nessuna parte, che serva piuttosto uno choc. O noi o loro (ma di fronte a questo molti altri elettori temendo il peggio hanno scelto “loro”).

Quali sono le esigenze che spingono questi cittadini su posizioni radicali? Questo aspetto da un lato può sembrare banale, dall’altro è invece fondamentale per valutare la nascita di un nuovo paradigma socio-politico. Le esigenze sono forse sempre le stesse (essenzialmente economiche) ma la percezione della risposta è radicalmente cambiata.

Oggi non conta più lo schieramento politico internazionale, non interessa molto il tema della sicurezza internazionale, il quadro ideologico è destrutturato (ritorna in parte dalla finestra, come vedremo). Quello che si vuole è più lavoro, più servizi, meno tasse. E anche più identità. I partiti tradizionali sono ritenuti responsabili della crisi, e comunque danno risposte lente e che non scaldano i cuori (che vuol dire che probabilmente sono le risposte giuste, ma rimane un grosso limite).

Le risposte alternative sono invece dirette, semplici, facilmente comprensibili, emotivamente coinvolgenti. Se mando via gli immigrati ci sarà più lavoro. Se esco dall’euro tornerò a star bene. Se ritorna la sinistra vecchia maniera l’occupazione sarà dovuta a tutti. Se caccio la casta dei politici tutto funzionerà per il meglio. Se mi rinchiudo nel mio territorio sarò più ricco. E tutti credono che il sistema sarà cambiato chiedendo meno tasse e fornendo al contempo più servizi.

Risposte che sanno un po’ di bacchetta magica, ma allora la domanda diventa petché soluzioni così irrazionali abbiano un oggettivo riscontro elettorale. E qui si attendono risposte. Alcune ipotesi mi vengono in mente. Bisogna onestamente prendere in considerazione che abbiamo torto a ritenerle soluzioni irrazionali: ci potrebbe essere una razionalità che ci sfugge e magari funzionano. Ci credo poco, almeno sul medio periodo, ma voglio mantenere una neutra apertura mentale. Ma c’è anche l’ipotesi opposta: è ovvio che tali soluzioni non funzionerebbero, ma non ci può essere la controprova perché non hanno alcuna possibilità di essere messe in opera.

Perciò è inutile cercare una ratio: vengono scelte perché parlano non alla testa ma alla pancia. E questo apre la strada a un’altra riflessione ancora più essenziale, ma che rimandiamo: cosa sono i cittadini e gli elettori oggi?, che grado di capacità culturale e critica hanno?, funziona ancora davvero una democrazia dove uno vale uno? Ci torneremo.

Torniamo alle scelte fatte di pancia. Per completezza ed onestà intellettuale va considerato anche uno scenario intermedio in cui le scelte di quegli elettori pur non dando un vantaggio alla società nel suo complesso lo offrono però a chi le adotta. Ma torniamo ancora allo scenario della scelta irrazionale e non costruttiva. Essa comunque esercita un fascino. Perché offre soluzioni semplici. Ma anche per altri motivi: si ancora a valori forti, offre certezze, costruisce una comunitá, esprime una identità, smuove l’emotività. Meccanismi di cui il moderatismo responsabile e burocratico ha perso memoria, e anzi ha ritenuto che la strada da percorrere fosse quella dell’annacquamento e dell’indistinzione, del politicamente corretto tale da non infastidire nessuno e sfumare così nel grigiore.



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