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Vicenza, Etruria, Emilia Romagna. A che punto è la danza delle banche popolari

Dopo un ballo durato un mese e mezzo, le trattative per l’acquisizione di Banca Etruria da parte di Vicenza si è risolta in una bolla di sapone. Il consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza “ha constatato che non vi sono i presupposti per proseguire la trattativa in relazione alla prospettata integrazione”, così una nota dell’aspirante acquirente che precisa di non poter prendere in considerazione “eventuali altre proposte diverse dalla ormai decaduta offerta vincolante”, formulata dalla popolare vicentina il 28 maggio “in quanto non rispondenti alla strategia”.

L’offerta rifiutata
È una porta sbattuta in faccia agli aretini che l’offerta di un euro per azione (con un premio del 25,8%) non l’hanno accettata ma avrebbero voluto aprire un tavolo per negoziare struttura e condizioni dell’operazione. Il cda di Bpv ne ha preso atto e non avendo intenzione di muoversi in maniera ostile ha dichiarato decaduta l’offerta vincolante. Ma che gli aretini avrebbero opposto resistenza era chiaro fin dall’inizio quando persino il sindaco della città Giuseppe Fanfani era intervenuto nella questione dichiarando al Sole lo scorso 30 maggio: “Banca Etruria non si tocca. Non può diventare una filiale della Banca Popolare di Vicenza: sarebbe un danno irreparabile per la nostra economia”, aveva dichiarato, invitando l’intero territorio a “dire no” all’offerta della Vicenza.

Sinergie mancate
Chissà quanto ha pesato questo appello della politica. Certo è che l’integrazione tra le due banche avrebbe creato una sinergia sia di mercato (con Vicenza e Arezzo poli dell’oro), sia dal punto di vista territoriale. Le nozze con l’Etruria avrebbero consentito, infatti, all’istituto vicentino di ampliare il proprio raggio d’azione nel Centro-Sud Italia. L’istituto guidato da Gianni Zonin aveva però “da sempre ribadito, anche nei precedenti comunicati al mercato, che l’Opa su Bpel si sarebbe concretizzata esclusivamente se il Consiglio di Amministrazione avesse espresso una preliminare valutazione positiva sull’Opa medesima”. Il cda aretino invece “pur confermando l’interesse ad una integrazione, ha evidenziato al contempo di non potere esprimere allo stato una preliminare valutazione positiva della proposta così come formulata dalla Banca Popolare di Vicenza”. Nel mirino di Vicenza restano i 70 sportelli della Popolare di Marostica e la cassa di risparmio di Ferrara.

Prodromi di un no
“Il no era arrivato per ragioni tecniche (relative alla struttura dell’opa), ma forse anche per prendere tempo su un’aggregazione che non convince gran parte del board aretino”, così MF-Milano Finanza , secondo cui “i punti meno graditi al cda toscano sono il raggiungimento di una soglia del 90% delle azioni da parte della Popolare di Vicenza, la successiva trasformazione della banca aretina in spa e l’entità del premio. Un premio ritenuto poco remunerativo per soci che detengono in media meno di 100 titoli a testa”.

Etruria obbligata a un’aggregazione
Resta su Arezzo la spada di Damocle di Bankitalia che le impone l’obbligo a fondersi con un istituto di elevato standing per far fronte a un monte di crediti deteriorati pari al 30% del portafoglio. E anche per questo, all’indomani della fine dell’idillio con i veneti – annunciato a Borsa chiusa – il mercato ha bastonato il titolo che in apertura ha perso il 13,5% a 0,78 euro.

Il futuro ad Arezzo

Secondo le indiscrezioni, comparse anche su Milano Finanza, “una parte del cda della banca aretina ha da sempre spinto verso un’aggregazione con la Banca Popolare dell’Emilia-Romagna (Bper) o con altri istituti dotati di modello federale, come Ubi Banca. Ma va detto che queste due ipotesi appaiono lontane”. Bper sta ultimando il business plan al 2014 in base a cui deve aggregare Banca Campania, la Popolare del Mezzogiorno e la Popolare di Ravenna. E Ubi non ha sul tavolo un dossier Etruria e “in ogni caso, non sembrerebbe disposta a formulare una proposta molto diversa da quella della Pop Vicenza. Non è inoltre esclusa una soluzione del tutto diversa: una ristrutturazione di Banca Etruria con successivo spacchettamento di reti di sportelli o di istituti controllati. Questi singoli asset potrebbero andare a gruppi interessati ad aumentare la propria presenza in specifiche e limitate aree geografiche”.

La speranza per gli aretini è che arrivi un cavaliere bianco disposto, in fretta, ad accettare le stringenti condizioni che pongono.


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