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Biotech italiano: numeri, potenzialità, sfide e problemi

Un altro pezzo di Italia che rischia di andare sprecata. Siamo terzi in Europa per numero di imprese pure biotech, ma siamo anche il Paese con le società maggiormente sottocapitalizzate, per la difficoltà di reperire capitali con cui finanziarie la costosa ricerca nel settore. Eppure “investire nel biotech può aiutare a tornare a crescere e creare occupazione qualificata”.

È questo il messaggio che arriva da Milano, dove nella sede della Provincia a Palazzo Isimbardi si è svolta l’assemblea annuale di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che riunisce, nell’ambito di Federchimica, più di 140 associati tra imprese e parchi scientifici e tecnologici.

PERFORMANCE A DOPPIA CIFRA

“Il biotech – ha spiegato Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec – è riuscito a consegnare performance a doppia cifra agli investitori che ci hanno creduto e che negli ultimi dodici mesi hanno prodotto risultati in alcuni casi impressionanti, come avvenuto con Eos, Gentium, Intercept, Okairos e Silicon Biosystems”.

Ma investire in questo comparto vuol dire sopportare gli oneri di una ricerca lunga e in perdita per molti anni, prima di arrivare a un risultato. E in Italia questo genere di investitore fa fatica ad emergere.

Eppure all’assemblea di Assobiotec a discutere delle opportunità di questa strategia c’erano esempi viventi dell’eccellenza di cui : Silvano Spinelli, il creatore di Eos, acquisita a fine 2013 da Clovis Oncology, biofarmaceutica statunitense per 450 milioni di dollari; Khalid Islam che guidava la comasca Gentium prima che venisse acquisita dall’irlandese Jazz Pharmaceutical per un miliardo di dollari; Francesco Micheli, presidente della holding Genextra, che detiene il controllo di Intercept, società biotech quotata al Nasdaq. Eccellenza che, appunto, ha dovuto prendere la via dell’estero.

INVESTITORI SOLO DALL’ESTERO

“Questi casi confermano l’eccellenza della ricerca biofarmaceutica italiana e dimostrano la straordinaria capacità dei nostri manager e imprenditori di attrarre capitali dall’estero e di trasformarli in ulteriore valore, dopo aver sviluppato prodotti e tecnologie innovative”, afferma Sidoli. Purtroppo però invece che dar vita a sviluppo industriale, crescita del Pil e occupazione sul territorio domestico tutta questa potenziale ricchezza finisce Oltre confine. “Questo è un dato drammatico – continua il presidente di Assobiotec – soprattutto in un momento in cui la ripresa avrebbe bisogno estremo di puntare su innovazione e tecnologia, confermando una progressiva perdita di competitività in settori strategici per l’Italia”.

ITALIA, TERZA IN EUROPA PER BIOTECH

L’assemblea è stata anche l’occasione per presentare il rapporto annuale sul biotech italiano: a fine 2013 erano 422 le imprese del settore e l’Italia si posizionava terza in Europa, per numero di aziende pure biotech (264), ovvero di imprese che hanno nelle biotech il proprio core business, dopo Germania (428) e Regno Unito (309). Anche se l’Italia è terza, però le imprese biotech italiane sono mediamente sottocapitalizzate e difficilmente riescono ad accedere ad adeguati investimenti in capitale di rischio rispetto ai loro concorrenti europee. Di fatto, nel corso del 2013, le imprese biotech italiane hanno raccolto solo lo 1,6% degli investimenti di venture capital in Europa (1.613 milioni di dollari), rispetto al 27,7% del Regno Unito, allo 11,7% della Francia, al 10,5% della Germania, al 9,2% dell’Olanda e allo 8,4% della Danimarca.

MICROIMPRESE

Non sorprende che la stragrande maggioranza del bacino (il 77% e l’88% restringendo il campo al puro biotech) sia costituito da imprese di micro e di piccola dimensione (rispettivamente, meno di 10 e di 50 addetti). Il fatturato totale ammonta a 7.050 milioni di euro (dato 2012), ed è sostanzialmente stabile rispetto al 2011. Il 76% dei ricavi origina dalle consociate italiane di imprese multinazionali, che svolgono attività R&S nel nostro Paese soprattutto in ambito red, e che hanno già molti prodotti sul mercato. Le imprese a capitale italiano contano invece per il 24% del fatturato.

LA NUOVA MEDICINA

La pipeline biofarmaceutica italiana, alimentata dalle 176 aziende impegnate nella R&S di nuove molecole e terapie innovative, conta 403 prodotti, dei quali 108 sono in fase preclinica, 46 in Fase I, 126 in Fase II e 123 in Fase III di sviluppo clinico. A questi si devono aggiungere altri 67 progetti ancora in fase di discovery. Se il numero di prodotti in sviluppo cresce del 12%, aumenta anche quello delle molecole che hanno raggiunto la Fase II (+18%) e la Fase III (+17%) di sviluppo clinico. Con il 40% dei progetti in sviluppo clinico, l’oncologia si conferma essere l’area terapeutica di interesse prioritario.

L’ECCELLENZA NON BASTA

Le aziende biotech italiane hanno saputo crescere, traducendo l’eccellenza della ricerca italiana in prodotti e servizi ad alto contenuto di innovazione, e facendo fronte a una congiuntura economico-finanziaria che ha costretto molte di esse a operare in condizioni troppo spesso ai limiti della sopravvivenza. Ma nel lungo termine, l’eccellenza può fare la differenza solo se supportata da politiche adeguate a creare un ambiente più favorevole allo sviluppo di nuove idee e iniziative imprenditoriali.



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