I fattori che hanno guidato l’uscita dei paesi anglosassoni dalla crisi sono riconducibili principalmente al mix di politiche economiche adottato negli scorsi anni: politiche di bilancio decisamente meno prudenti rispetto a quelle europee, con deficit pubblici elevati, e politiche monetarie caratterizzate da aumenti della base monetaria a fronte di acquisti di titoli sul mercato. La trasmissione della politica monetaria si è quindi esplicata anche attraverso gli aumenti dei prezzi delle attività nei mercati sui quali si è riversata, direttamente o indirettamente, la liquidità immessa dalla Fed. Non è un caso che, alla luce dei successi che stanno caratterizzando la politica economica americana, anche nell’area euro, così come accaduto in Giappone, vi sia un ripensamento sugli indirizzi di politica
economica da seguire nei prossimi anni.
D’altra parte, ma mano che il quadro macroeconomico americano migliora, e l’economia tende a riavvicinarsi al pieno utilizzo della capacità produttiva, la tenuta di politiche monetarie così espansive diviene problematica. In generale, le ragioni per normalizzare la politica monetaria sono legate a due aspetti. Il primo è rappresentato dal potenziale infl azionistico della liquidità presente nel sistema, in un contesto in cui l’eccesso di capacità produttiva inizia ad essere riassorbito. Il secondo è costituito dall’eventualità che si determini un eccessivo apprezzamento di alcune attività, fi nanziarie e reali, tale da confi gurare l’avvio di una nuova “bolla” sostenuta per l’appunto proprio dalla banca centrale.
I dati sull’andamento dell’infl azione paiono indicare che almeno nel breve siamo distanti da una fase di accelerazione. Recentemente comunque l’infl azione ha mostrato qualche incremento e negli ultimi giorni si è osservato un aumento delle aspettative d’infl azione, sia pure a partire da livelli molto bassi. Tale andamento indica che il mercato inizia a scontare primi effetti sui prezzi legati al miglioramento del quadro congiunturale. Qualche problema inizia invece ad emergere dal punto di vista dei prezzi delle attività, soprattutto in relazione ad alcuni mercatiche si sono molto rafforzati. La necessità di accelerare l’exit strategy può essere legata all’eventualità che politiche monetarie così espansive inneschino una fase di crescita della domanda sostenuta nuovamente dall’aumento del debito delle famiglie. E’ ad esempio quanto paventato nel caso inglese dalla Banca d’Inghilterra, soprattutto a seguito dei segnali di fermento del mercato immobiliare britannico e della ripresa del processo di
indebitamento delle famiglie.
Vi è d’altra parte il rischio che, qualora i mercati dovessero iniziare a scontare una fase di inversione dei tassi d’interesse, questo si possa tradurre in cadute marcate dei prezzi di diverse attività finanziarie. Ad esempio, quando l’estate scorsa la Fed ha annunciato l’avvio del tapering si è osservato un rapido rialzo dei tassi a lunga, sia pure a partire da valori molto bassi. Per ora a risentire maggiormente dell’avvio dell’exit strategy sono stati i paesi emergenti. Molti di questi mercati sono andati in tensione proprio da quando si è paventata l’ipotesi di un cambiamento di regime nella politica monetaria Usa e questa è solo una prima avvisaglia di quello che potrebbe accadere qualora si dovesse approssimare l’avvio della fase di aumenti dei tassi d’interesse.Non è un caso dunque che la Fed continui
ad essere molto attenta ai rischi legati ad un cambiamento di regime della propria politica, tanto che il Governatore, Janet Yellen, ha ribadito anche recentemente che il livello dei tassi d’interesse americani è destinato a rimanere basso ancora a lungo. In altri termini il tapering non dovrebbe essere seguito da una fase di aumento dei tassi d’interesse ufficiali, che potrebbero restare quindi ancora per molto tempo su valori prossimi a zero.
Sinora la strategia di comunicazione della Fed ha funzionato, considerando che l’aumento dei tassi a lunga è stato limitato e che la borsa si è mantenuta lungo un trend crescente. L’ipotesi di una fase di tassi d’interesse fermi per un periodo prolungato a fronte di una crescita che si porta sopra il 3 per cento definisce difatti una combinazione ottimale per i mercati, che non a caso stanno reagendo positivamente alle indicazioni tranquillizzanti della Fed. Questo aspetto è importante perché il recupero dei mercati ha un ruolo rilevante nel guidare il riequilibrio della situazione finanziaria delle famiglie Usa. Il forte apprezzamento del valore delle attività finanziarie, unitamente alla riduzione del grado di indebitamento, ha migliorato la situazione finanziaria netta del complesso delle famiglie. I primi segnali di recupero del credito alle famiglie hanno anche sostenuto il settore immobiliare, provocando primi recuperi dei prezzi delle case. D’altra parte, un elemento di incertezza delle scenario degli ultimi mesi è rappresentato proprio dalla fase di sostenuta crescita della borsa, che non è stata accompagnata da una dinamica altrettanto marcata dei profitti, tant’è che il rapporto fra prezzi e utili delle società quotate è in costante aumento da oltre un anno. In mancanza di un ciclo dei profitti che si irrobustisce, la borsa Usa resta vulnerabile al rischio di una fase di risalita dei tassi d’interesse.
Le prospettive della politica monetaria Usa sono rilevanti anche per le ripercussioni che esse avrebbero sul quadro valutario internazionale. La possibilità che nei prossimi mesi la Fed continui con l’exit strategy proprio mente la Bce sta adottando misure ancora di segno espansivo potrebbe favorire nei prossimi mesi un rafforzamento del dollaro.