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Non ci sono più i pazzi di una volta

Sono appena le 7 del mattino. Parcheggio, malamente, e sto per entrare nel bar dove faccio colazione quando mi si fa incontro una donna non più giovane. Il suo viso ha lo spin di particelle subatomiche che ancora non hanno scoperto. La piega delle labbra sembra un punto interrogativo coricato. Deve aver dormito poco, la donna. Mi dice di guardare i cassoni per l’immondizia lì di fianco. Ha appena finito di sistemarli. Effettivamente noto la disposizione esasperatamente geometrica, in fila per due, quella degli alunni a scuola. La donna insiste e mi ripete la cosa una seconda volta. Capisco che la corda che la muove è quella della follia. La saluto, meglio che posso, ed entro nel bar.
La cosa mi colpisce perché, a pensarci bene, è assai curioso come lo spirito del tempo si sia impossessato perfino della corda che tira il carro dell’imprevedibilità e che risiede nel comune dell’estraneità. E’ proprio una cosa da pazzi che un pazzo prende e mette ordine nella raccolta dei rifiuti. Ma dove sono finiti i pazzi, quelli normali, quelli che diventavano pazzi a furia di fare i pazzi?


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