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Così la cappa conservatrice della Cgil toglie ossigeno alla Rai

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Sergio Soave apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Susanna Camusso, che aveva perso la parola dopo la squillante vittoria elettorale della sinistra che, con Matteo Renzi, aveva aperto una polemica diretta contro l’invadenza della Cgil, l’ha ritrovata per scendere in campo a sostegno dello sciopero alla Rai, anche se considerato illegittimo dall’apposita Authority. Si tratta di difendere una delle ultime casematte del sistema di potere della sinistra archeologica, che ha resistito al ventennio berlusconiano coll’argomento, in sé valido ma spesso trasformato in pretesto conservatore, del conflitto «aziendale» con le emittenti di proprietà del Cavaliere, ma che vacilla di fronte a un attacco che viene dalla sinistra che si è emancipata dal complesso del conflitto di interessi che giustificava tutte le corporazioni.

IL BARICENTRO DELLA RAPPRESENTANZA

La Cgil, che ha progressivamente spostato il suo baricentro dalla rappresentanza diretta degli interessi dei lavoratori a una sorta di guardianaggio di una presunta correttezza costituzionale basata sulla concertazione (che nella Costituzione scritta peraltro non è affatto citata), difende a spada tratta gli evidenti sprechi della televisione pubblica più costosa del mondo (forse a eccezione di quelle di paesi dove non ci sono libertà d’informazione o dialettica informativa) perché si aspetta in cambio un sostegno propagandistico alla sua disperata battaglia di retroguardia contro la sinistra riformista.

LA CAPPA CONSERVATRICE

Quello che stupisce è l’acquiescenza della parte professionale dell’impresa Rai, che è comunque maggioritaria, alla pretesa di usucapione politica esercitata dalla Cgil e dall’Usigrai, che ha paralizzato per decenni le potenzialità innovative, persino quelle che venivano dall’area intellettuale di sinistra alloggiata nella terza rete. Cominciano a emergere tentativi di sottrarsi a questa cappa conservatrice, ma forse è troppo tardi perché si possa sperare in una forte partecipazione dall’interno a una rigenerazione di quella che resta comunque la maggiore impresa culturale del Paese, ma che continua a mantenere i vizi tipici di un sistema monopolistico, anche dopo decenni dall’abolizione formale del monopolio televisivo, difeso fino all’estremo da Enrico Berlinguer ma anche da Ugo La Malfa.

IL SERVIZIO PUBBLICO

Questo assurdo logico nasce dalla costruzione dell’ideologia fasulla del «servizio pubblico», un paradosso istituzionale in una democrazia che garantisce davvero la libertà e la dialettica dell’informazione. L’estensione di questo concetto fino a costruire le dimensioni elefantiache dell’ente pubblico e la crescita esponenziale dei suoi costi è l’errore da correggere, atto che Berlusconi non poteva (e non voleva, se è vero il teorema del duopolio) compiere, ma che Renzi potrebbe realizzare.


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