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Così Tremonti vuole stracciare il Fiscal Compact

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Come uscire dalla trappola del Fiscal Compact? Come si può evitare di sottostare all’obbligo demenziale di attuare manovre da 50 miliardi l’anno nei prossimi 20 anni? Se si vuole restare in Europa per cambiarla, come va dicendo il premier Matteo Renzi, il primo passo dovrebbe essere quello di dare una risposta concreta a questi semplici domande. Ma dal governo e dalla sua maggioranza, per ora, al di là dei facili slogan, nulla è pervenuto. Idem dall’opposizione grillina e berlusconiana, con una sola eccezione: un’iniziativa isolata del senatore Giulio Tremonti, che, solo soletto, ha presentato al Senato un disegno di legge costituzionale (n. 1414) intitolato “Modifiche agli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione”. In tutto, sono quattro articoli di legge di poche righe, che hanno l’obiettivo dichiarato di impedire che il Fiscal Compact massacri per i prossimi 20 anni l’economia nazionale, cancellando dalla Costituzione gli obblighi introdotti nel 2012 dal governo di Mario Monti.

LE PAROLE DI DOSSETTI

Per illustrare la sua iniziativa, Tremonti ricorda che uno dei padri costituenti, il cattolico Giuseppe Dossetti, propose di inserire nella carta costituzionale il “diritto alla ribellione”, formulato così: “Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione , la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino”. Questo articolo non fu approvato. Appena due anni fa, invece, il Parlamento italiano ha votato a stragrande maggioranza un principio contrario, il “dovere di sottomissione all’Europa, contenuto nel nuovo articolo 117: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto … dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Sul piano delle leggi si sono resi così costituzionali “tutti i materiali giuridici di fonte europea”. Dunque, non solo i principi dei trattati, ma anche “i vincoli derivanti dai regolamenti, dalle direttive, dalle decisioni europee e quant’altro”.

L’INSERIMENTO DEL FISCAL COMPACT

Tremonti, che in Parlamento votò contro l’inserimento del Fiscal Compact nella Costituzione, osserva che, in questo modo, “ci siamo volontariamente e follemente ‘desovranizzati’. Nelle Costituzioni degli altri Paesi fondatori dell’Unione europea non si trovano norme così generali, così automatiche, così sottomesse”. Non solo. La rinuncia totale alla sovranità nazionale a vantaggio dell’Unione europea, per come è formulata, va oltre la lettera del Trattato di Lisbona del 2009, che all’articolo 4, comma 2, afferma: “L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato”. Dunque, sostiene Tremonti, il Trattato di Lisbona non ha mai circoscritto la sovranità nazionale degli Stati membri, ma – all’opposto – ne ha salvaguardato le prerogative costituzionali fondamentali. Ergo, l’articolo 117, primo comma, va cancellato dalla Costituzione, abolendo il “dovere di sottomissione all’Europa”. Del pari vanno cancellati i riferimenti agli obblighi europei introdotti negli articoli 97 e 119.

L’IDEA ORIGINARIA

Quanto al Fiscal Compact, l’ex ministro dell’Economia ricorda che l’idea originaria di una disciplina europea dei bilanci nazionali era ben diversa da quella sancita nel trattato omonimo, e si basava sulla doppia formula della “responsabilità sopra, ma anche della solidarietà sotto”. Responsabilità sopra, voleva dire: basta con le politiche di deficit spending e dei debiti pubblici elevati, che avevano caratterizzato la seconda metà del secolo scorso, “l’età dell’oro in Europa”. Dunque, più rigore nei conti, e bilanci futuri in pareggio. Mentre “solidarietà sotto” stava a significare l’avvio degli eurobond, oltre a una dichiarata elasticità nella valutazione delle percentuali di rientro dal debito, da non calcolare in modo matematico, ma tenendo conto di alcuni “fattori rilevanti”, come il risparmio privato, la ricchezza patrimoniale, la riforma delle pensioni e l’andamento dell’export, tutti favorevoli all’Italia. Questa, almeno, la soluzione di compromesso su cui il governo Berlusconi-Tremonti aveva ottenuto più di una apertura in Europa.

LA SCELTA DI MONTI

“Il successivo governo Monti, prodotto come nel ‘500 dalla ‘chiamata dello straniero’, ha invece scelto di regredire rispetto a questa linea. Ovvero, come si dice, ha ceduto … con fermezza!” annota Tremonti nella presentazione del suo disegno di legge. “Il Fiscal Compact viene infatti ad essere lo strumento permanente di dominio dell’Europa sull’Italia: essere noi costretti, e per beffa costretti da noi stessi, a fare qualcosa che molto difficilmente possiamo fare”. A meno di rivedere anche la legge (n. 243) con cui Monti impose di applicare in modo estensivo l’articolo 81 della Costituzione, non solo prescrivendo per il futuro l’equilibrio di bilancio (cosa giusta), ma imponendo anche “la riduzione forzosa e forsennata del debito pubblico accumulato in precedenza”. Un’imposizione, quest’ultima, che va cancellata al più presto, neutralizzando così un vincolo interno sul Fiscal Compact. A tale scopo Tremonti chiede al Parlamento “un voto che non è contro l’Europa, ma per la nostra dignità nazionale e per la nostra libertà”, nella convinzione che ne “trarranno vantaggio sia l’Europa che il nostro governo”. L’ex ministro, dall’opposizione, scrive proprio così: “nostro governo”. Il che fa del suo ddl un suggerimento gratuito a Renzi, che – se da un lato gli fa onore – sarebbe sbagliato ignorare ancora.



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