Seppur in maniera meno enfatica rispetto al recente passato, anche nelle analisi che sono seguite al voto di fine maggio si è ricorso all’«effetto scudo crociato» per interpretare i risultati elettorali. Infatti, c’è chi sostiene che il simbolo della Democrazia cristiana, lo scudo crociato, rappresenti un collante per diverse migliaia di elettori, i quali sono pronti a reiterare il loro consenso alla formazione politica che lo adotta, prescindendo dalla collocazione ‘spaziale’ che quel determinato partito occupa all’interno dell’arena politica.
Che ciò possa essere effettivamente confermato, è difficile da dirsi, ma il fatto di ritrovare sulla scheda elettorale, praticamente in ogni elezione, il contrassegno che ha caratterizzato la storia di un partito che non è più attivo da oltre un ventennio deve far riflettere. Tralasciando qualsivoglia disputa sulla reale o presunta ereditarietà nell’azione di alcune fazioni di ceto politico, è fuor di dubbio che lo scudo crociato – così come, per esempio, la falce e il martello per l’esperienza comunista, il garofano rosso per quella socialista e la fiamma per quella missina – è fra i principali simboli della comunicazione politica del secolo scorso. Ma la sua sopravvivenza al partito che lo ha adottato come emblema fin dalla sua costituzione conferma la prospettiva secondo la quale lo scudo crociato può essere considerato un simbolo strettamente legato a un concetto, quello del cristianesimo militante e, in un’accezione più estesa, all’impegno dei cattolici in politica.
In questo senso, è allora utile la lettura del recente lavoro di Girolamo Rossi “Lo scudo crociato. Un simbolo medievale nella comunicazione politica del Novecento” (Armando editore) che consiste, come spiega l’autore, in una ricognizione storica sulle circostanze e le ragioni che hanno determinato l’adozione dello scudo crociato come simbolo da parte del Partito popolare nel 1919 e della Democrazia cristiana nel 1943. La ricostruzione condotta da Rossi è interessante perché – nonostante la quasi totale mancanza di documenti di prima mano che rivelino i contenuti del dibattito attorno alla scelta dello stemma di partito – riesce a inquadrare le tendenze di fondo che portarono all’adozione dello scudo crociato e che si consumano tutte prima del 1946.
Infatti, l’analisi si conclude proprio nell’anno nel quale ci furono le consultazioni per il referendum sulla forma dello Stato e la composizione dell’Assemblea costituente, a dimostrazione del fatto che, scrive l’autore nell’introduzione, questo momento considerato da molti l’inizio dello scudo crociato come simbolo politico, in realtà è il punto d’arrivo di un percorso molto più lungo, nato in epoca medievale.
Quindi, il libro non solo approfondisce alcuni elementi tipici dell’araldica politica, ma ricorda gli esordi dell’attività pubblica del Partito popolare che definisce la scelta del proprio simbolo quasi dieci mesi dopo la sua costituzione, nell’imminenza delle elezioni politiche, per contraddistinguere con un unico stemma tutte le liste territoriali.
È probabilmente abbastanza ovvio che uno dei principali motivi di dibattito fosse l’approccio laico che il Partito popolare intendeva adottare e che spingeva don Sturzo, da un lato, a scegliere un simbolo evocativo che identificasse il partito in modo chiaro e, dall’altro, a considerare indispensabili, sul piano programmatico, dei caratteri che potessero garantirgli un impianto non confessionale. Tale preoccupazione non si sopirà mai del tutto e forse diviene ancora più cruciale nel 1944 quando gli eredi dell’esperienza del Partito popolare si organizzano nuovamente dopo il regime fascista e, nonostante cambino il nome della loro formazione politica (anche con l’assenso dello stesso Sturzo), mantengono il simbolo dello scudo crociato come emblema distintivo.
Ciò evidenzia ancora una volta – sottolinea Rossi – la capacità di questo contrassegno di mantenere nel tempo la sua carica di significato, talmente distinta da farlo ricomparire fra diverse formazioni partigiane e, agli esordi della stagione repubblicana, capace di essere percepito ancora appropriato e funzionale al nuovo contesto politico e istituzionale.
In conclusione, la genesi e l’adozione dello scudo crociato come emblema di una formazione politica dimostrano la rilevanza dell’impatto simbolico nella sfera pubblica, a maggior ragione se, come sostiene Rossi, l’aver scelto lo scudo crociato significa «aver adottato un simbolo guelfo come sintesi di tutta l’esperienza e di tutto il programma politico del partito». E così, nel dopoguerra, se lo scudo crociato si impone come «elemento metatemporale», la parola libertas si presta a essere impiegata come elemento temporale e di attualizzazione della proposta politica. Tuttavia, con il passare dei decenni, anche lo slogan «libertas» si è sganciato dalla contingenza e si è, per così dire, relativizzato, probabilmente perché sono state abbandonate, più o meno consapevolmente, le ragioni che ne avevano sostenuto l’adozione nella banda orizzontale dello scudo crociato.