Ci siamo. Oggi tocca a noi. Partenza col botto: Italia-Inghilterra. Meglio così, non avremo modo di distrarci, e come nella migliore tradizione del nostro calcio, quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare. Avevo undici anni quando seguii il mio primo mondiale, Argentina 1978. Troppo piccolo per rendermi conto di quello che accadeva nel mondo e in Italia – la guerra fredda, il terrorismo culminato con il rapimento e l’uccisione di Moro, la morte di Paolo VI, il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I e l’elezione di colui che 36 anni dopo sarebbe stato fatto addirittura santo, Karol Wojtyla, oggi San Giovanni Paolo II, per dire i fatti più importanti – ma grande abbastanza per capire che non ero solo io e miei amici e famigliari a seguire le partite della nazionale, ma che c’era un paese intero bloccato, come ipnotizzato dalle gesta di quegli undici eroi in azzurro. E ricordo come fosse ora l’urlo nel cuore della notte, credo fosse l’una inoltrata, al gol di Bettega contro l’Argentina (per la cronaca, fummo gli unici a battere gli argentini anche se poi vinsero la coppa). 1 a 0 il risultato finale, trionfo azzurro. Poi la cocente delusione della semifinale persa contro l’Olanda, con quel gol assurdo da 40 metri di un marziano travestito da olandese, e tutti a casa (la finale per il terzo posto non ha mai contato nulla, quindi non ne parlo neanche. E visto che ci siamo, sarebbe ora cha la Fifa abolisse questa inutile appendice che fa tristezza solo a pronunciarla: finale per il terzo e quarto posto. Ma per favore…). Passano quattro anni e ci rifacciamo con gli interessi: 3 pappine ai nostri eterni rivali alemanni, e vai con la terza coppa. Che per me poi era la prima: indimenticabile e indimenticata notte a urlare a squarcia gola su un camion sul lungomare, come un solo uomo con gli amici e tutto il paese e l’Italia intera. Poi una serie di prestazioni non proprio esaltanti – con la parentesi dei mondiali del ’90 persi dignitosamente ai rigori – fino ad arrivare ai mondiali tedeschi del 2006, che ci portano in dote la quarta coppa. Altra botta di libidine pura, goduria infinita nonostante la calvizie incipiente, l’età non più giovanissima e insomma tutte le ambasce della vita matura. Ed ora eccoci di nuovo qua, stavolta nel paese dove il calcio è religione, cultura popolare, arte e scuola di vita. E di nuovo siamo pronti a fare tardi, anche se meno rispetto a prima perché le tv hanno imposto orari a servizio del business e chissenefrega se i giocatori schiattano dal caldo e sudano come avessero una doccia incorporata. Siamo di nuovo qua, pronti a soffrire e urlare e incazzarci come tori contro gli arbitri gli avversari i giocatori l’allenatore il governo ladro ecc. ecc. E per un mese (si spera) non si parlerà d’altro, perché la Nazionale è come una donna gelosa che non ammette rivali, o tutto o niente. Anche l’anti-retorica avrà il suo bel palcoscenico, c’è da scommetterci. I soliti soloni snob che sbertucciano noi poveri mortali, bambinoni mai cresciuti che si rincoglioniscono davanti a un televisore che fa vedere 22 ragazzi che corrono dietro ad un pallone. Mi sembra di sentirli. Uh..i mondiali! Che noia! E alla tua età ancora a vedere il calcio, ma non ti vergogni…No che non mi vergogno, e anzi ne vado fiero , fierissimo di intonare l’inno nazionale con la mano sul cuore, e di allestire tutto l’apparato liturgico come si conviene (patatine-birra-bandiere-magliette-sciarpe e, ovviamente, rutto libero), e di incollarmi per due ore davanti alla tv con gli amici e la famiglia, che ovviamente costringerò a vedere le partite dell’Italia, figli in testa allineati e coperti. Perché la Nazionale è la Nazionale, signori miei, e i Mondiali si giocano ogni 4 anni. Ergo, non rompete e lasciateci sognare. Siamo uomini, dopotutto. Forza azzurri!
Da oggi lasciateci sognare. Forza azzurri!
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