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Due delitti e un mostro non immaginato

Articolo pubblicato oggi da L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi.

L’uno è un muratore di Bergamo, sposato e padre di tre figli. Il classico e irreprensibile vicino della porta accanto. L’altro è addirittura il marito e padre delle sue tre vittime a Motta Visconti, un piccolo e finora tranquillo comune in provincia di Milano. Vengono i brividi, dunque, nell’apprendere dagli investigatori chi sarebbero i presunti responsabili di due delitti che solo un mostro brutto, sporco e soprattutto cattivo, come il nostro immaginario collettivo l’aveva già scolpito, avrebbe potuto compiere. Il primo delitto risale a quattro anni fa e scosse gli animi di tanti italiani.

Si parla di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa a fine novembre dopo un allenamento in palestra e trovata uccisa in un campo, tre mesi dopo, a pochi chilometri da casa. “Le forze dell’ordine e la magistratura hanno individuato l’assassino”, ha annunciato il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Chi è, allora, quel bruto ricercato a lungo in Italia e all’estero e ora scoperto grazie al Dna? E’ un incensurato di quarantaquattro anni che risiedeva nella Bergamasca. Non importa il suo nome: è semplicemente un cittadino qualunque.

L’altro delitto è di queste ore e, se possibile, ancora più sconvolgente. Madre e due figli (maschietto di cinque anni e bimba di appena venti mesi!) accoltellati in casa. Trovati senza vita e senza un perché. Finché ha raccontato tutto agli inquirenti il marito e padre, cioè il presunto omicida. “Un fiume in piena”, hanno detto i magistrati. Un fiume due volte travolgente, perché anche quest’uomo dalla crudeltà oltre ogni limite non aveva episodi di violenza alle spalle. Né in famiglia, né tra conoscenti. Un altro cittadino qualunque.

Adesso toccherà ai processi ricostruire i fatti e le personalità degli accusati, ascoltare testimonianze, sentire gli esperti riflettere a voce alta su quel confine invisibile tra ferocia e follia, tra lucidità e malattia, tra raptus e violenza consapevole. Tutto umano, troppo umano per essere definito con la precisione che i codici, le perizie e il dovere della giustizia pur impongono. E guai se così non fosse.
Ma nessun ergastolo, nessuna ammissione di colpa, nessun Dna potrà risolvere il dubbio atroce che questi e altri delitti sempre più pongono alla società “civile”: com’è possibile che il mostro immaginato, pronto ad ammazzare una ragazzina innocente come la sua età, pronto a sterminare una famiglia felice del suo stare insieme, non venga “da fuori”, da altrove, dall’inferno, ma sia un uomo accanto a noi?

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