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Ecco la vera storia della lettera della Bce all’Italia. Parola di Renato Brunetta

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi , il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Giulio Tremonti ne ha parlato con tono dispregiativo più volte: a suo parere, la famosa lettera della Bce che nell’agosto 2011 costrinse il governo di Silvio Berlusconi ad anticipare di un anno il pareggio di bilancio, con una manovra lacrime e sangue che ne accelerò l’uscita di scena, era stata scritta a Roma, e non a Francoforte, sede della Banca centrale europea. Tremonti, che allora era ministro dell’Economia, non ha mai indicato il nome dell’autore, ma per molti era chiaro che si riferisse a Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia e già designato alla presidenza della Bce, con il quale ha sempre avuto un rapporto pessimo. Un’ipotesi suffragata dal fatto che in calce alla lettera vi erano due firme: del presidente uscente della Bce, Jean-Claude Trichet, e di Draghi, suo successore. Ora però c’è un fatto nuovo, che rimette tutto in discussione: nel suo recente pamphlet («Berlusconi deve cadere. Cronaca di un complotto»), Renato Brunetta racconta alcuni retroscena inediti di quella vicenda, di cui fu testimone diretto, e sostiene che Tremonti non accusava Draghi, bensì lo stesso Brunetta, allora ministro della Funzione pubblica, nonché consigliere economico di Berlusconi.

Ecco la frase chiave: «Tremonti non lo dice mai. Non esiste Draghi, è il suo nemico personale e non deve esistere. Per questo rifiuterà di credere che la lettera arrivi da Draghi… E invece insisterà sia stata scritta a Roma, alludendo al sottoscritto». In attesa che Tremonti dica la sua una volta per tutte, gli storici possono prendere nota di come la bozza di quella lettera arrivò a conoscenza di Berlusconi. Qui la versione di Brunetta appare fondamentale, uno scoop vero, raccontato da brillante diarista.

Inizi di agosto, è sera. Nella «saletta verde» di Palazzo Chigi si sta proiettando un filmato sul Ponte di Messina, da sempre un sogno di Berlusconi. L’ha commissionato il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, per aggiornare il premier in modo spettacolare. Brunetta arriva all’improvviso, e chiede di parlare subito con il premier per una questione molto urgente. Ma Berlusconi, come rapito dal filmato, lo prega di aspettare. Appena si riaccendono le luci, Brunetta gli annuncia che sta per arrivare dalla Bce una lettera tremenda, «forse già pronta, forse in bozza». Una lettera che avrebbe spazzato via in un colpo solo non solo il Ponte di Messina, ma tutte le grandi opere, forse pure il governo e la sovranità nazionale se non si fosse corso ai ripari con urgenza. Scrive Brunetta: «Ci rechiamo nello studio del Presidente. C’è Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza. Dico tutto. Il colloquio del pomeriggio con una fonte assolutamente attendibile, la quale annunciava l’intendimento, l’orientamento, la decisione, non si capisce ancora. Berlusconi capisce tutto al volo. Capisce che è cosa fatta. Se noi anticipiamo il pareggio di bilancio di un anno ci salviamo, altrimenti siamo morti».

La reazione del premier è fulminea. Chiama Draghi al telefono, gli dice che ha saputo della lettera, che a informarlo è stato il ministro Brunetta, che è lì al suo fianco, e ha «compreso benissimo i termini della questione: vale a dire che la Banca centrale europea avrebbe continuato ad acquistare nostri titoli sul mercato, raffreddando l’incendio speculativo, solo se noi avessimo dato delle risposte aggiuntive in termini di politica economica, di rigore e di riforme». Più avanti: «Draghi dall’altra parte del telefono conferma e il presidente Berlusconi me lo passa. Io: ‘Ciao Mario’. Mario Draghi è un mio vecchio collega di università, mi conferma esattamente le indicazioni, gli intendimenti e mi dice che in Banca d’Italia a questa lettera (ormai era chiaro che di ciò si trattava) stava lavorando Daniele Franco. ‘Lo chiami?’, mi dice. Ma certo».

Si dà il caso che Brunetta e Daniele Franco, allora direttore centrale dell’Area ricerca economica in Banca d’Italia e oggi Ragioniere generale dello Stato, si conoscessero da tempo. «Era mio studente alla facoltà di statistica all’università di Padova all’inizio degli anni Settanta, quando anch’io ero molto giovane» ricorda l’ex ministro. «Appena rientrato al ministero lo chiamo , e dopo dieci minuti era già da me in piedi con delle carte in inglese in mano». E’ la bozza della lettera della Bce. «Non so ancora oggi dove quelle carte fossero state materialmente elaborate, se in sede Bce o in altra sede, magari a Palazzo Koch (sede della Banca d’Italia; ndr). So che Franco me le illustra, dandomi sostanzialmente la linea guida del documento che poi sarebbe stato conosciuto come ‘la’ lettera della Banca centrale europea al governo italiano».

Il 5 agosto, nel pomeriggio, appena arriva la lettera ufficiale della Bce, Brunetta si reca a Palazzo Grazioli per esaminarla con Berlusconi. «Rimarrà riservata, me ne faccio una copia di lavoro», scrive l’ex ministro, che suggerisce a Berlusconi di convocare una conferenza stampa per dare una risposta immediata, con decisioni concrete. Il premier accetta il consiglio, ma supplica Brunetta di non prendervi parte per non irritare Tremonti, che di quella lettera non sapeva ancora nulla. «Ne fui avvilito e immediatamente dopo infuriato» confessa l’ex ministro. Tremonti, durante la conferenza stampa, apparve «molto imbarazzato. Impreparato. Evidentemente contrariato. Diede anche sulla voce a Berlusconi, smentendolo sul punto che le parti sociali fossero informate di quanto andavano annunciando». Gianni Letta mantenne una «postura imperturbabile e interdetta». Di quella conferenza stampa, Brunetta riporta nelle note del libro la trascrizione parola per parola, «ad uso degli storici e dei curiosi». Fu allora che per l’Italia iniziò la rinuncia alla sovranità nazionale, poi completata dal governo di Mario Monti: merita la lettura.

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