Skip to main content

Ecco perché Renzi arranca in Europa

Parte il semestre Ue a presidenza bianco rosso e verde, che per la politica italiana è senza dubbio una sorta di “semestre bolla” in cui tutti gli equilibri politici interni dovranno rimanere immobili. Ed è già tanto tenendo conto della lezione ai Mondiali in cui litigando e andando confusamente i nostri 11 in direzioni diverse, sono stati rimandati a casa con un calcio nel deretano.

Registriamo che l’adrenalinico Renzi ha giocato a Bruxelles una partita priva di quella sfrontatezza che usa in Italia allineandosi furbescamente e capendo che i tedeschi avrebbero puntato su Juncker, poi eletto, forti anche del risultato popolare che hanno ottenuto inserendo nella scheda elettorale il nome del candidato a fianco di quello della lista, pur non essendo prevista l’elezione diretta.

Il giovane Renzi ha cominciato una trattativa: un posto di rilievo per un italiano oltre Draghi, l’impegno di condivisione del dramma immigrazione da parte di tutta l’Europa, e una disponibilità a riequilibrare le attuali politiche di contenimento di deficit e debito con quelle, finora mancanti, di sviluppo.

Oggi a che punto siamo: Juncker è eletto, Renzi che non ha appoggiato Letta spinge sulla Mogherini a capo della politica estera europea. Ma sappiamo bene che chi dovesse ricoprire quel ruolo, finora solo formale, deve possedere le qualità da statista necessarie per creare una posizione europea sui diversi dossier mondiali e sicuramente bisogna puntare invece su un profilo magari più competente maschile o femminile che sia).

Anche perché si dovrà definire il resto del pacchetto-nomine che comprende Mr Pesc, cioè l’Alto rappresentante Ue per la sicurezza e la politica estera, il presidente del Consiglio Europeo e un presidente full-time per l’Eurogruppo.

La questione immigrazione è fallita: nelle conclusioni del vertice europeo è scomparso il cosiddetto “mutuo riconoscimento” delle decisioni sull’asilo, punto fortemente voluto dall’Italia, che peraltro in precedenza veniva indicato genericamente come “nuovo passo futuro” e poi addirittura declassato, su pressione dei Paesi nordici, a “possibilità da esplorare” alla faccia della condivisione di pericoli di sicurezza e reciproco aiuto.

Sulla necessità di ricorrere alla flessibilità nella gestione dei conti pubblici per rilanciare crescita e occupazione, ma pur sempre dentro il perimetro dei patti, scritti in lingua tedesca, fin qui vigenti, c’è un accordo di massima sul quale pesa pesantemente il no secco della Gran Bretagna sia per l’ostilità su Juncker sia per la flessibilità.

La situazione europea è molto più complessa e capiamo bene che non serve semplificare o proclamare, pensando così di tener alto l’indice di fiducia degli italiani, che comunque sono persone in grado di intendere. Sono rimasta per l’ennesima volta irritata dalle stime della Confindustria e quelle del governo sulla crescita economica di quest’anno: 0,2% contro 0,8%. La distanza è grande: un rapporto di uno a quattro e non ci convince la valutazione che l’economia italiana è uscita dalla recessione per entrare in una fase di stagnazione. Non siamo fuori dal tunnel, e rispetto alla politica fin qui praticata per entrare in una fase di ripresa vera e duratura occorre fare ben altri passi per rimontare il declino.

Ma perché mai le/gli italiani devono affidarsi storicamente ad un leaderismo che riaccende la fiducia e la speranza senza misurarne realisticamente gli effetti? Ma dove sono le traduzioni in atti di quelle intenzioni che hanno costituito l’impasto usato dal giovane Renzi al comando, che ha costruito l’effetto fiducia stesso o anche i progetti riformatori meno mediatici e più solidi che aveva annunciato?

Noi abbiamo un’esigenza di carattere sistemico interna e di natura internazionale di razionalizzare la spesa e ripartire con lo sviluppo, anche perché l’Europa a sua volta sta cambiando, virando verso forme confederate. Dove le regole comuni sono sempre più affidate alla dura contrattazione tra Stati dotati di un’intrinseca forza politica e riconosciuta. Ma se il bastone di comando, nel nostro Paese, passa nelle mani di una moltitudine spesso rissosa e monocolore, che speranza abbiamo di far sentire la nostra autorevole voce?

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter