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Ecco perché Renzi ha punito i sindacati con il taglio dei permessi. Il caso del Cnel

Perché i sindacati si sono inalberati per la drastica riduzione dei “permessi”? In effetti un contributo della collettività alle confederazioni peraltro poco gradito dai contribuenti. E qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e indotto il presidente del Consiglio, e il resto del governo, a utilizzare la scure invece del bisturi?

In sintesi, si può dire che un ruolo non secondario lo ha avuto l’atteggiamento delle confederazioni in materia di spending review. A parole hanno elogiato gli annosi tentativi volti a migliorare la qualità della spesa, pur se spesso hanno cercato, negli anfratti delle misure per rendere la mano pubblica più efficiente, di difendere quei comparti (come “i permessi”) di loro diretta attinenza. Tutto ciò è facilmente comprensibile e, in un certo modo, giustificabile.

Più grave, però, quando si è trattato di bloccare il metodo (e impedire, così, che la review procedesse secondo standard internazionali piuttosto che “alla matriciana”). I vari Commissari preposti alla difficile intrapresa, da ultimo, Carlo Cottarelli ha sottolineato che un contributo metodologico in materia renderebbe più facile rimodulazioni della spesa (anche di parte corrente) che tengano adeguatamente conto di esigenze di ridistribuzione del reddito e di obiettivi occupazionali specialmente diretti alle fasce a basso livello di reddito e consumo.

A riguardo, non senza ostilità da alcune parti (che hanno pure prodotto documenti scritti in cui il tasso di sconto veniva confuso con il tasso di interesse), il Cnel ha redatto un documento sui parametri di valutazione della spesa che è stato apprezzato dal mondo accademico italiano, da università straniere, da Ocse, da Banca Mondiale, da Nazioni Unite, da amministrazioni italiani (specialmente dal Ministero dello Sviluppo Economico, dove si stanno approntando guide operative). Il documento doveva essere il primo di una serie, di cui c’erano stati ampi scambi di vedute con l’Istat, con la Banca mondiale e con l’Ocse. Dopo avere impostato i canoni di base dell’analisi economica e sociale, si sarebbero dovuti affrontare gli aspetti relativi agli effetti della spesa sulla distribuzione del reddito; proprio gli argomenti che sarebbero dovuti essere di maggior interesse ai sindacati. Indubbiamente, temi di questa natura non possono essere affrontati unicamente sotto il profilo tecnico poiché hanno una forte valenza politica, fanno notare ambienti governativi.

Dopo due anni di tentativi, in cui la parte datoriale ha indicato un esperto (peraltro di grande qualità e molto noto nel settore) con cui affiancare un consigliere Cnel nominato dal Colle, la Cgil ha infine indicato un esperto di proprio gradimento e fiducia. E’ stata convocata la prima riunione del gruppo di lavoro. Tutti erano pronti. Ma alla vigilia quasi dell’inizio dell’operazione, la Cgil ha ritirato il proprio esperto, senza indicarne un altro e senza illustrare le ragioni. In altri termini, per riprendere la frase (immaginate pronunciata da chi) di un noto racconto di Primo Levi Qui Non c’è Perché.

È difficilmente comprensibile che la parte sindacale (specialmente una delle maggiori confederazioni) abbia bloccato la prosecuzione del lavoro proprio quando si stava entrando nell’esame del valore sociale dell’occupazione per differenti aree del Paese; uno strumento vitale per le politiche della qualità della spesa pubblica. Il presidente del Consiglio e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, non hanno gradito affatto, secondo le indiscrezioni raccolte da Formiche.net Anche perché l’Ue chiede risposte in questa materia e ciò, quindi, potrebbe ostacolare la strategia italiana per il Consiglio europeo di ottobre. Forse il Segretario Generale della confederazione dovrebbe chiedere le ragioni, sottolineando come atteggiamenti del genere indeboliscono il sindacato e non gli consentono di chiedere trasparenza nella gestione della cosa pubblica.

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