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Perché purtroppo l’Italia non sarà mai un hub energetico per l’Europa

Pubblichiamo grazie all’autorizzazione del gruppo Class e dell’autore, l’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta, uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza

Denso di impegni, il prossimo Consiglio dei Ministri dell’Unione che si terrà giovedì e venerdì prossimi. A Bruxelles hanno una fifa blu, il colore della fiamma del gas che finora ci è arrivato passando dall’Ucraina e che il prossimo inverno potrebbe non arrivarci, se il Governo di Kiev ne spillasse una parte per provvedere al proprio fabbisogno interno. Il fornitore russo ha già chiesto 1,5 miliardi di dollari in anticipo: dell’Ucraina non si fida. Il marasma nelle aree orientali continua. Siamo appesi a un cessate il fuoco unilaterale.

Se non bastassero i problemi della disoccupazione, anche un inverno al freddo ricadrà come una colpa sull’Unione europea: ha gestito la politica energetica nei rapporti con la Russia recitando i copioni della Guerra Fredda. Le scadenze sono immediate: entro il mese di ottobre deve essere definito il quadro della sicurezza degli approvvigionamenti nella prospettiva del 2030, mentre il mercato europeo dell’energia dovrà essere completamente operativo per la fine dell’anno. Per raggiungere questi obiettivi, c’è un nuovo allargamento dell’Unione, di cui i Ministri prenderanno. L’Europa ha stretto Accordi di Associazione con la Moldova e la Georgia, mentre con l’Ucraina è stato firmato un Memorandum per un’area di libero scambio.

In campo energetico, l’Italia si presenta a questi appuntamenti senza più una strategia continentale, come è stato ben messo in luce dall’ex-Premier Romano Prodi nel suo editoriale di domenica scorsa su Il Messaggero: nonostante il governo avesse presentato pochi mesi fa un grande progetto per fare dell’Italia il più importante punto d’arrivo per il rifornimento energetico dell’intera Unione Europea, “subito sono partiti tutti i veti locali possibili e immaginabili, senza che il governo nazionale abbia potuto tenere conto dei nostri impegni e dei nostri interessi, pur essendo universalmente riconosciuto che le leggi italiane di protezione dell’ambiente nel settore energetico si collocano tra le più severe di tutto il pianeta”.

Abbiamo abbandonato la partita continentale, pensando solo in termini di consumi energetici nazionali, mettendo da parte anche la costruzione dei rigassificatori che ci avrebbero consentito di diversificare l’approvvigionamento proveniente dalla Russia con quello del Qatar. Ci siamo lasciati travolgere dal successo inatteso delle fonti rinnovabili, dal crollo della domanda di energia e dall’insostenibilità degli investimenti in sistemi di produzione a ciclo combinato, alimentati a gas, molto efficienti ma scarsamente flessibili. Del pari, abbiamo ceduto le quote nel South Stream, che a questo punto ha cambiato percorso: se mai si farà, non si sdoppierà per passare in Italia, ma alimenterà i Balcani. Comunque vada, all’Italia ora non serve più: siamo fuori partita e senza soluzioni alternative. Anche il gasdotto adriatico, al confronto, è ben poca cosa.

Insomma, se nel Mediterraneo non saremo un hub energetico, rimarremo solo una scialuppa di salvataggio per i profughi dalle aree dell’Africa settentrionale. Sarà lanciato nuovo progetto, Eurosur, che per l’Italia non è una vittoria, bensì un giro di vite sul modo con cui finora ha gestito la partita: accogliendo i profughi, magari soccorrendoli in mare, per poi lasciarli defluire verso altri Paesi europei senza averli prima identificati. Gli oneri per il Paese di primo ingresso devono essere rispettati.

Non si lascia niente al caso, a Bruxelles, anche le congratulazioni sono già inserite nella bozza delle decisioni: ci si feliciterà all’unisono, al momento in cui saranno annunciate le decisioni in materia di “Libertà, Sicurezza e Giustizia”. Per quanto riguarda la lotta alla disoccupazione e la crescita, è la solita aria fritta. Non sono previsti applausi, ma il solito, cinico, silenzio.



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