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Evasione fiscale: numeri, bugie e tabù

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Caro direttore,

hai ragione: è impossibile non chiedersi perché l’Italia abbia un apparato fiscale che, per una volta, la vede all’avanguardia nel mondo, ma non riesca a recuperare se non cifre irrisorie rispetto a un’evasione fiscale arrivata al livello record di 180,2 miliardi l’anno.

Oppure: come sia possibile che, disponendo di trecento banche-dati, l’amministrazione abbia accumulato un credito verso i contribuenti di 807 mld e, in 13 anni, sia riuscita a farsene restituire solo 69. E ancora: come non riesca neanche a intercettare, lo raccontavi martedì scorso, chi si intesta decine di automobili. Spero di aver fornito una risposta chiara a queste domande nelle pagine del mio ultimo libro (“Ladri – Gli evasori e i politici che li proteggono”, Bompiani).

Il fatto è che il fisco sa benissimo chi sono i ladri di tasse. Lo dimostra inequivocabilmente una tabella prodotta dai suoi uffici: certifica l’esistenza di 518 contribuenti che dichiarano meno di 20 mila euro l’anno, ma possiedono un jet privato. Se i funzionari del fisco hanno potuto contarli fino all’unità, vuol dire che ne conoscono i nomi e i cognomi. Eppure non risulta che abbiano chiesto spiegazioni a questi signori. Un’interrogazione parlamentare rivolta in proposito all’attuale presidente del consiglio e al suo ministro dell’Economia giace da settimane alla Camera, in attesa di una risposta che non arriverà mai.

Il fisco dunque sa tutto di noi e potrebbe stanare gli evasori con relativa facilità, costringendoli a restituire ciò che hanno sottratto alla collettività e abbassando così la pressione fiscale sui contribuenti onesti o che non possono comunque evadere perché il prelievo lo subiscono direttamente in busta paga, come nel caso dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che oggi danno, da soli, l’82 per cento dell’intero gettito fiscale. Se si guarda bene dal farlo è per un motivo semplice: chi guida la macchina dell’amministrazione non va dove lo porta il cuore, ma dove gli dice il governo di turno.

Che ha ben presente un dato: gli evasori sono anche elettori e valgono, malcontati, 10-12 milioni di voti. Nessun partito ha voglia di suicidarsi politicamente alienandosi il loro consenso. Ecco perché i controlli veri sono fermi a quota 200 mila l’anno, quando lo stesso fisco stima la platea dei potenziali evasori in 4 milioni di nuclei familiari. E perché anche chi viene beccato se la cava a buon mercato: il 4,1% dei detenuti europei è dentro per reati fiscali; in Italia lo 0,4.

Non ci pensa neanche a fare la guerra agli evasori il centro-destra, che nella piccola borghesia urbana (i lavoratori autonomi, ai quali la Banca d’Italia attribuisce un tasso di evasione del 56 per cento) ha avuto il suo zoccolo duro elettorale per quasi 15 anni (dalle politiche del 1994 a quelle del 2008). Non il populista Beppe Grillo, che ha provvisoriamente ereditato questo pacchetto di voti nella tornata elettorale boom del 2013, quando il partito degli evasori ha voltato le spalle a Berlusconi per l’appoggio fornito al governo Monti e alla sua politica di austerità, basata per due terzi su inasprimenti fiscali.

Ed è un ingenuo chi si attendeva lo facesse Matteo Renzi, che finora si è tenuto ben alla larga dal tema dell’evasione fiscale, preferendo cercare a destra e a manca i soldi necessari a finanziare il famoso bonus di 80 euro, invece di recuperarli dalle tasche dei ladri di tasse. Il fatto è che Renzi è uscito trionfante dalle Europee proprio grazie alla capacità di recuperare voti in un mondo (quello del lavoro autonomo) che politicamente aveva sempre guardato altrove. E ora non vuole certo giocarsi quel capitale di consenso. A 4 mesi dal suo insediamento, proprio in queste ore il governo ha fatto trapelare un mega-piano contro l’evasione a base di dichiarazioni precompilate, scontrini telematici e fatture elettroniche. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti.


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