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Fondo per l’editoria. Fatta la riforma, adesso (però) riformiamo il sistema

“Sarà una sfida agli editori tradizionali, li sfideremo sul piano dell’innovazione”. Così Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, aveva commentato giorni fa il progetto per l’assegnazione del Fondo straordinario per l’editoria, presentato lo scorso 3 giugno, e le cui linee guida saranno emanate la prossima settimana.

Il Fondo ha tre finalità: incentivare gli investimenti delle imprese editoriali in fatto di innovazione tecnologica e digitale; promuovere l’ingresso di giovani professionisti qualificati nel campo dei nuovi media; sostenere le ristrutturazioni aziendali e gli ammortizzatori sociali.

Numeri alla mano, le linee guida del Fondo puntano a destinare 47 milioni di euro a incentivi per l’assunzione di circa 1.000 persone in tre anni e a situazioni di crisi aziendale che prevedano 150 prepensionamenti e un piano di rilancio con l’assunzione di ragazzi tra i 18 e i 24 anni come articolo 1. Per garantire gli ammortizzatori sociali, poi, il governo interverrà in regime di cofinanziamento con gli editori, ma ci saranno dei parametri abbastanza rigidi per poter attingere ai fondi: numero di copie, numero di dipendenti e fatturato.

Per quanto riguarda le agenzie di stampa, le linee guida “cercheranno – a detta di Lotti – di far accorpare le agenzie di stampa per poter liberare risorse da impiegare soprattutto nel primo punto, cioè l’assunzione di giovani giornalisti”. Ma il cavallo di battaglia della riforma sarà soprattutto, come anticipavamo, il rilancio tecnologico del settore: 5 milioni di euro saranno riservati all’innovazione in campo editoriale e alla realizzazione di un concorso per startup.

Finalmente qualcosa si muove. Finalmente si punta al ricambio generazionale, alla digitalizzazione e all’ammodernamento del sistema, si dirà. Purtroppo però, facendo una riflessione sullo status reale del giornalismo e dell’editoria di oggi, e guardando al settore con gli occhi di chi si è affacciato da qualche anno alla professione, l’entusiasmo rispetto a certi (pur apprezzabili) provvedimenti cala immediatamente.

E non è una questione di pessimismo. La verità è che quando si parla di giornalismo, non c’è Fondo straordinario che tenga. Il sistema fa acqua da tutte le parti. Basti pensare all’Ordine che lo regola: chiuso nella sua auto-referenzialità, incapace di riformarsi, di cambiare una legge istitutiva vecchia di 50 anni e clamorosamente inadeguata a rappresentare concretamente gli interessi della professione e tutelare la categoria stessa (per non parlare dei nuovi iscritti).

Oltre a puzzare di vecchio, il settore genera una serie di contraddizioni interne che contribuiscono solo a peggiorare la situazione. Il mercato è saturo, lo sappiamo ormai da tempo. Non c’è possibilità di fare esperienza nelle redazioni se non per brevi (e sottopagati) periodi. Figuriamoci pensare di poter costruire una carriera! Ma, ironia della sorte, quello stesso sistema che chiude l’accesso alla professione, da anni incoraggia il proliferare di scuole di giornalismo che sfornano annualmente centinaia e centinaia di professionisti che pagano per avere un futuro da disoccupati. Siamo alla farsa delle farse.

Perciò, cosa potranno mai essere 1.000 assunzioni in tre anni se consideriamo il mare magnum di professionisti e freelance precari, senza tutele, pagati in nero o per niente che vivono da anni collezionando collaborazioni e sottostando a soprusi di ogni genere pur di mettersi in tasca qualche spiccio e poter dire “faccio il giornalista”?

E poi, come si intende sfidare il sistema tradizionale se le redazioni continuano ad essere letteralmente vampirizzate da quelle generazioni che hanno vissuto il giornalismo godendo di privilegi smisurati, che sono refrattarie al cambiamento, e a cui si dà adito di salire sulla cattedra di noti festival dedicati alla professione solo per fare la morale, al suon di «vuoi fare il giornalista? Non ti conviene», a chi quel mestiere riesce a malapena ad avvicinarlo?

Perciò, ben venga qualsiasi proposta o ipotesi di cambiamento per far respirare il settore purché non ci si illuda che un Fondo straordinario possa essere la soluzione a ogni problema. Perché sarebbe come focalizzarsi solo sulla punta di un gigantesco iceberg.

di Alma Pantaleo

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