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Google promette più privacy, ma esiste l’oblio su Internet?

Il modulo per il “diritto all’oblio” di Google era proprio quello che molti internauti aspettavano: il colosso del web ha ricevuto più di 41.000 richieste nei primi quattro giorni dalla messa online del modulo di richiesta di rimozione dei link personali per i cittadini europei, come rivelato dal Financial Times. Le richieste sono arrivate al ritmo di sette ogni minuto; già nel primo giorno sono state 12.000.

Google ha introdotto questo meccanismo dopo che la Corte europea di giustizia ha decretato che le persone hanno il diritto di chiedere la rimozione di risultati di ricerca che collegano a dati personali “inappropriati, irrilevanti o datati”.

Molti esperti di Internet ritengono però che il tentativo della Corte di giustizia europea di dare alle persone più controllo sulle loro informazioni personali sia destinato a fallire, per la struttura globale e interconnessa della rete. Google, per esempio, non rimuoverà i link alle informazioni personali dalla versione Usa del suo motore di ricerca e quindi i cittadini europei potranno visitare il sito americano di Google e ritrovare gli stessi link rimossi dalle versioni europee.

Molti utenti di Facebook hanno pubblicato post critici verso Google, esprimendo diffidenza verso le reali intenzioni di difendere la privacy del colosso del web; tuttavia non sono gli stessi utenti di Facebook che, come ben sostiene Mark Zuckerberg, rinunciano in partenza alla privacy quando indicano sul social network con messaggi, foto e video chi sono, che cosa fanno e dove si trovano?

E anche in Europa c’è un limite ai link che si possono eliminare dal motore di ricerca: la sentenza della Corte di giustizia chiede che le informazioni rilevanti sui politici restino. In un’intervista al Financial Times il Ceo di Google Larry Page ha anche ricordato che Google può respingere una richiesta di utente se pensa che le informazioni che vuole cancellare siano di “pubblico interesse”.

Page si spinge fino a sostenere che i dati sanitari dovrebbero essere sempre noti per aiutare la ricerca e salvare vite umane: sia lui che il co-fondatore di Google Sergey Brin hanno dato l’esempio, mettendo online i dati sulle loro malattie e il profilo genetico.



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