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Il decreto spalma-incentivi rottama la certezza del diritto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

L’Italia attrae solo l’1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, molto meno di Spagna (2,8%), Francia (3,1%), Germania (4,8%), e Regno unito (5,8%). Le cause sono molteplici ma il basso grado di certezza del diritto ha certamente un peso di assoluto rilievo: dalla instabilità del quadro normativo, alla farraginosità di leggi e regolamenti, all’inefficienza della pubblica amministrazione, alla corruzione, alla lentezza della giustizia civile.

Ci sarebbe bisogno di un grosso sforzo per sanare questo enorme deficit che ha un costo immenso in termini di mancate opportunità di investimento da parte di capitali esteri ma anche di maggiori difficoltà per chi sceglie o è costretto a investire in Italia. Sotto questo profilo il Governo Renzi non pare aver avere l’esatta percezione del problema e si limita a roboanti annunci di guerra alla corruzione mediante l’inefficace Autorità Anticorruzione di Cantone e ad un programma di riforma della pubblica amministrazione che pare avviato all’impaludamento inevitabile di chi prova a toccare i privilegi della burocrazia.

Ma la cosa sorprendente è che esso contribuisce direttamente ad intaccare la certezza del diritto con propri provvedimenti che non solo modificano ancora una volta un già tormentato ed instabile quadro normativo come quello relativo alle rinnovabili ma lo modifica anche con effetto sui rapporti in corso!

Il decreto cosiddetto “spalma-incentivi” ha un obiettivo certamente condivisibile: ridurre degli incentivi probabilmente troppo generosi concessi ai produttori di energia elettrica da fonte rinnovabile e destinare tali risorse ad alleggerire la bolletta elettrica di piccole e medie imprese e famiglie che in questi anni stanno sostenendo un costo straordinario.  Il problema è lo strumento utilizzato e, più ancora, l’effetto che ciò inevitabilmente avrà sulla fiducia degli investitori nel sistema Paese.

Il testo definitivo del provvedimento non è ancora stato pubblicato ma il sito del MSE anticipa che “I titolari di impianti > 200 kW saranno chiamati a optare per un’erogazione dell’incentivo su 24 anni (piuttosto che su 20 anni), ovvero per una riduzione di ammontare equivalente all’incentivo, erogato su 20 anni”. Ciò significa che i produttori che hanno sottoscritto contratti con il GSE che prevedono il riconoscimento di un certo incentivo per l’energia elettrica prodotta da un impianto per i 20 anni successivi alla sottoscrizione del contratto vedranno quest’ultimo modificato unilateralmente secondo quanto indicato dal MSE.

I motivi di illegittimità costituzionale di un provvedimento con le caratteristiche dello “spalma-incentivi” erano già stati efficacemente esposti dal prof. Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, prima della sua emanazione: violazione dei principi in tema di leggi sostanzialmente retroattive e tutela dell’affidamento; violazione delle obbligazioni contrattuali nascenti dalla convenzione con il GSE; violazione di obblighi internazionali. Ciò nonostante, e nonostante il parere negativo che sembra essere stato dato dall’ufficio legislativo del ministero dello sviluppo economico, il Governo ha deciso di procedere ugualmente.

Ma oltre ai motivi di illegittimità costituzionale, desta preoccupazione la scarsa considerazione del Governo per la certezza del diritto, presupposto indispensabile per la libertà di mercato, e il ritenere che lo Stato sia svincolato dal rispetto del principio “pacta sunt servanda”, da millenni caposaldo della civiltà giuridica.

Come si può ritenere di invogliare qualcuno ad investire nel nostro Paese quando non solo si cambiano le regole del gioco ma lo Stato pretende addirittura di non rispettare gli impegni contrattuali liberamente assunti sulla base di una normativa da esso stesso emanata?

Paolo Esposito

Avvocato, Partner
CBA Studio Legale e Tributario



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