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Ilva, tutti i perché della sostituzione di Bondi con Gnudi

Il nodo Ilva non si riesce ancora a sciogliere. E’ teso, ben stretto. Ci hanno provato in molti (tre ministri, tre governi, un garante, nonché per certi versi i magistrati). L’ultimo a farne le spese è stato il commissario uscente Enrico Bondi, liquidatore di razza ma che alle prese con il grande siderurgico tarantino ha dovuto arrendersi alla realtà difficile di mancanza di liquidità e, cosa non da poco, all’ostilità della famiglia Riva che lo accusa di ”tradimento”.

RUMORS GOVERNATIVI

Anche se, da ambienti governativi, si nota: a Bondi l’incarico non gli è stato riconfermato dal governo perché aveva un atteggiamento solipsistico, faceva di testa sua e non parlava quasi con nessuno, facendo così irritare tutti: governo, banche, Riva e candidati all’ingresso in Ilva (oltre ad Arcelor Mittal e a Marcegaglia, anche Amenduni)

IL RUOLO DI GNUDI

Lo scettro del comando è passato ora nelle mani di Piero Gnudi, ex Iri, ex Enel, ex ministro del governo Monti, alloggiato ora nel palazzo mussoliniano che divide a metà via Veneto come consigliere del ministro Federica Guidi. Lo ha scelto Palazzo Chigi che, per non sbagliare, ha puntato su un nome noto e collaudato, oltre al fatto che, e non cosa di poco conto, l’interlocutore del governo rimane la proprietà dell’azienda, i Riva ormai ai ferri corti con Bondi (si favoleggia anche di una richiesta di 400 milioni che danza tra l’ormai ex commissario e la famiglia dell’acciaio). E poi Gnudi garantisce migliori e maggiori relazioni sul piano istituzionale ed economico.

LE PENE DELL’ILVA

Quel nodo da sciogliere si stringe sempre di più, infatti. E, la tentazione è che qualcuno possa volerlo tagliare. La crisi di risorse non dà respiro all’Ilva e al Piano di risanamento ambientale degli impianti, che ormai sembra impantanato senza i finanziamenti per attuarlo. Il Piano industriale redatto da Bondi è pronto da giorni (che aveva visto lievitare le voci fino a oltre 4 miliardi, di cui 1,8 per la riqualificazione), non gradito al ministero dello Sviluppo economico, potrebbe ritornare nelle mani di Gnudi per delle modifiche, per così dire, di spesa.

NON SOLO MARCEGAGLIA

L’incarico a Gnudi, allora, dovrebbe aiutare a sbloccare l’impasse. All’orizzonte sembra certo un prestito ponte e si fa sempre più concreta l’interesse di una cordata di imprenditori dell’acciaio guidata dalla signora Emma Marcegaglia, già leader di Confindustria e da poco tornata alla ribalta con la nomina alla presidenza di Eni.

LE IDEE DI GNUDI

L’idea di fondo di Gnudi, snocciolata in una recente intervista a la Repubblica, è che ”l’Italia non può permettersi di perdere la siderurgia”. Esclusa l’ipotesi di chiusura, la base per salvare l’Ilva è ”la bonifica e l’arrivo di nuovi soci”; la cosa sarebbe ”auspicabile”, e tra gli investitori che potrebbero intervenire Arcelor Mittal. Ma su tutto il tempo: ”Non si può rimediare ai danni di 30 anni in pochi mesi”, dice Gnudi ma ”il più è fatto se riusciamo a risolvere il problema ambientale”, di pari passo sia inteso con la produzione industriale.

LA POSIZIONE DI GALLETTI

Chiara la posizione del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti: ”La soluzione dell’Ilva è il risanamento ambientale”. Non bisogna ”perdere di vista” che ”l’applicazione delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) è il presupposto della prosecuzione dell’attività, l’unica garanzia per il mantenimento dei posti di lavoro”. Il ”futuro” dell’Ilva, osserva Galletti, sta in un ‘rinascimento’ tecnologico e ambientale: ”Non sono possibili mediazioni ne’ sconti”, è la parte ”insostituibile del progetto di rilancio della siderurgia italiana”.

REPUBBLICA E CORSERA SU SPONDE OPPOSTE

Accoglienza diversa per la nomina di Gnudi si è vista sulle sponde editoriali dei maggiori quotidiani nazionali. Da un lato il Corriere della sera ha avuto un atteggiamento positivo nei confronti dell’arrivo dell’ex ministro del Turismo, dall’altro la Repubblica ha parlato di una vittoria di Federacciai, perciò del suo presidente Antonio Gozzi. Ma proprio Gozzi butta benzina sul fuoco e si lascia andare sui tempi e sulle prescrizioni dell’adeguamento tecnologico: ”Non si può pensare di risolvere un problema di così notevole portata e gravità in così poco tempo. I tempi dell’ambientalizzazione a Taranto devono essere ripensati perché nessun imprenditore privato può farsi carico di un costo così elevato in tempi ristretti”. Tra le altre cose per Gozzi bisognerebbe per esempio concentrarsi più sulla ”compatibilità ambientale del coke” che ”sulla copertura dei parchi minerali”. Compito principale di Gnudi all’Ilva, spiega il leader di Federacciai, è ”riportare la normalità” ricostruendo ”una compagine societaria” ed ”elaborare un Piano industriale, basato su dati reali e non fantasie”.

LE FRATTURE TRA RENZIANI E NON RENZIANI

Di riflesso la “scissione” ha registrato delle crepe nelle fila del Pd, tra renziani e non renziani. Anche le banche in certo senso festeggiano, soprattutto Intesa Sanpaolo, Unicredit e Banco popolare, le più esposte. Da uomo del ”dialogo” come scrive Fabio Tamburini sul Corriere della sera, quella capacità di mediazione servirà a Gnudi ”nei rapporti con la magistratura, ma anche per convincere la famiglia Riva dell’opportunità di continuare a fare la sua parte, per tessere la tela della ricerca di alleati nel mondo dell’imprenditoria siderurgica italiana e internazionale, per convincere le banche a concedere altre linee di credito”.

Così, dovrebbe tramontare anche l’ipotesi, mai decollata veramente, del coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti come salva-Ilva. Ipotesi che se realizzata avrebbe di fatto riportato nelle mani dello Stato l’ex Italsider. La cordata Marcegaglia – ha scritto Salvatore Cannavò su il Fatto quotidiano – dovrebbe avere nella sua ‘pancia’ dei nomi più che spendibili per chiudere l’operazione, sia Arvedi che la stessa famiglia Riva ”interessati a non perdere il proprio gruppo”. Principe dell’operazione rimane comunque ArcelorMittal (Bondi con loro ha avuto un ultimo incontro), in ottimi rapporti con la signora Marcegaglia di cui è uno dei fornitori. Altra possibilità paventata è quella di creare una ‘bad company’ e una ‘new company’ ad hoc per la nuova cordata.



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