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La musica nella gravità dell’ora

Ogni qual volta occorre esorcizzare la gravità dell’ora, grandi orchestre si mobilitano perché dileguino i fantasmi della paura a colpi di piatti e tamburi, con l’urlo degli ottoni secondo i timbri del più trionfale dei finali sinfonici. Così, fecero i tanti ceppi germanici di cui è composto il popolo germanico in punto di morte quando tutto franava in macerie. Ricorrendo alla sinfonia che imbrigliava, nelle righe del pentagramma l’identità, una, di quella pluralità, quella dei sassoni e dei renani. E che sostituiva per tramite di rimozione la memoria prima a pezzi di storia presente metabolicamente indigesta.
A noi italiani, che avremmo tanto bisogno di dimenticare il presente, così bravi a indovinare il futuro, facilitati dall’incertezza, manca proprio una musica prima, quella di un passato non prossimo. A meno che non pensiamo di esorcizzare la gravità dell’ora con Peppino di Capri o con Toto Cutugno. Che, forse poi, a pensarci bene, non sono poi così male. Sempre meglio dei Duran Duran o degli Spandau Ballet che tanto piacevano ai paninari. E alle squinzie.

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