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La partita di Dilma Rousseff

Pubblichiamo un articolo dell’Ispi

Più che i ritardi, non le hanno perdonato i costi. Non è cosa da nulla per l’erede di Luiz Inácio Lula da Silva, l’ex combattente anti-regime, la presidenta che veniva dal Partido Democrático Trabalhista. Ma soprattutto la donna che, il 21 giugno 2013, di fronte all’incalzare delle proteste di piazza, aveva annunciato alla tv di stato brasiliana un programma di mobilità urbana; una norma che dirottasse il 100% delle royalties del petrolio sull’istruzione e una legge che favorisse l’immigrazione di medici stranieri per migliorare il SUS, il sistema sanitario nazionale. Tutto questo, Dilma Rousseff l’aveva promesso per far dimenticare (o perdonare) le spese folli dei Mondiali 2014. Le spese ci sono state. Folli davvero. I ritardi idem. Le ricadute positive, per ora, no. E lo scontento sembra unire, almeno per ora, sia le masse diseredate urbane sia una classe media, giovane ma già in affanno.

Lei, in vista delle prossime presidenziali del 5 ottobre, che decideranno chi guiderà il gigante sudamericano fino al 2018, scivola nei sondaggi. Se si fosse votato a inizio aprile 2014, in base al sistema brasiliano, la Rousseff avrebbe vinto subito. Nelle simulazioni del ballottaggio (che comunque si fanno anche se non ci si arriva), avrebbe battuto 50 a 31 l’unico vero competitor, Aécio Neves, del Partito socialdemocratico, il PSDB. A maggio, il margine si era ridotto di otto punti. Per risalire nei sondaggi non le è bastato fare il tour degli stadi non completati, né munirsi di addetti alla comunicazione che sembrano piuttosto pretoriani. Dilma ha in parte accusato la Fifa per l’impennata dei costi, oltre 11 miliardi di dollari. Ma ha continuato a insistere che le ricadute sul paese saranno positive. Non è detto, però, questa volta, che perfino la vittoria ai Mondiali, in una nazione malata di calcio, possano bastare per restituirle il prestigio perso in questa coda di mandato presidenziale.

Pensare che quando, il 12 gennaio 2009, Dilma Rousseff, in piena campagna presidenziale, apparve per la prima volta in pubblico dopo essersi sottoposta a un’operazione di chirurgia plastica, a molti osservatori sembrò che il volto nuovo non appartenesse soltanto alla candidata favorita: era lo stesso Brasile, che, dopo la “cura Lula”, si preparava a mettere il turbo. Così non è stato. La settima economia mondiale si sta muovendo con il freno tirato.

Non era questo che ci si aspettava da un’economista. Ma anche da una donna che, pur avendo sempre negato di aver partecipato ad azioni armate, si era davvero battuta per i diritti degli ultimi e aveva pagato la sua militanza con la detenzione e la tortura sotto la dittatura.

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Valeria Palumbo è giornalista e storica delle donne

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