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La poesia e la pubblica amministrazione

La poesia a scuola si studia sempre meno. Perfino nei Licei. E vale l’idea di Pierre Dulaine, il ballerino che a Brooklyn cercava di spiegare, a scuola, che l’insegnamento del ballo da sala ad allievi dei quartieri delle periferie (sostantivo), quelli degradati e infami, quelli resi periferie (aggettivo) dai brutti parcheggi vuoti dopo la scorpacciata di struscio nei centri commerciali, può contribuire a ridurre il degrado e tanti atteggiamenti di violenza la cui diffusione, senza voler fare della sociologia, l’ambiente finisce per favorire. Perché, il ballo da sala insegna all’uomo a portare la donna. E alla donna dà la sicurezza per lasciarsi condurre. Ecco, altro che stappamenti, altro che rapper neomelodici e orribili murales eletti ad arte. In ossequio alla legge che più sei strano più sei artista.
Allo stesso modo se un giovane fosse iniziato alla lettura e al godimento di una poesia, di una poesia dei greci tradotta da Quasimodo, come “Tramontata è la luna” che trovate in calce, capace che con le ragazze scambierebbe meno sms ma più baci.
E pensare che, come ha ricordato Francesco Merlo dai microfoni di Primapagina su Radio 3, che Salvatore Quasimodo fu disegnatore tecnico che non riuscì a terminare gli studi di ingegneria. Che per vivere faceva il dipendente pubblico a Reggio Calabria grazie all’intermediazione del più grande direttore del personale della storia d’Italia, Giorgio La Pira. Il solito posto da frate minore, quello che uno Stato tiene in conto per permettere ai geni fannulloni di potersi esprimere. Chissà se il Ministero, nell’assegnare il tema di italiano ai maturandi, ha riflettuto su questo. Sul fatto che, stante l’indirizzo politico dell’attuale governo, la riforma della PA, fatta a suo tempo, possibilmente avrebbe fatto fuori perfino Salvatore Quasimodo. Tant’é.

Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amaro indomabile serpente.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.

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