Nessuno, molto probabilmente neppure i sondaggisti di Matteo Renzi avevano previsto che il Partito Democratico potesse sfondare la soglia del 40% alle elezioni Europee. Tutti si guardano attorno, c’è chi sostiene che gli elettori grillini si siano volatilizzati, chi ritiene che l’Italia viri a sinistra, chi sostiene che l’epoca berlusconiana sia completamente finita. In realtà non è proprio così. Il dato delle Europee è un voto politico di livello nazionale, l’unico che mostra uno spaccato di tutta la penisola, come solo le Politiche fanno, ma da sempre più parziale.
L’ANALISI DEL VOTO
La verità è che l’affluenza fa la differenza e che probabilmente, se si fosse votato per eleggere il Parlamento italiano e per dare la guida del governo al Paese, i risultati sarebbero stati almeno in parte diversi. Con tale affermazione non vàadi certo sminuita la vittoria del PD, o per meglio dire del suo leader Matteo Renzi, ma l’analisi dei sondaggi di solito non sbaglia. Infatti, è da ritenere che tutte le indagini campionarie non abbiano toppato, ma abbiano evidenziato la loro “incompletezza” proprio alla luce del vastissimo popolo degli indecisi e di coloro che sono stati in dubbio fino all’ultimo se andare o meno a votare. Difficile credere che si sono recati alle urne quasi in forma “esclusiva” gli elettori del Partito democratico, perché, come detto da alcuni, più “motivati” dalla possibilità di vincere. E’ più facile ritenere che la maggior parte dei cittadini indecisi che abbiano deciso di prendere in mano la tessera elettorale e recarsi alle urne, abbia valutato l’offerta politica che gli veniva posta dinanzi in modo abbastanza semplice come i media l’hanno messa in evidenza: Berlusconi troppo debole, Grillo troppo di rottura, Renzi una giusta via di mezzo.
VINCITORI E VINTI DELLA COMPETIZIONE ELETTORALE
Di certo non si può considerare che Renzi abbia vinto solo perché l’affluenza non è stata alta, o perché si è posto bene dinanzi al corpo elettorale, ma i due elementi sottolineati probabilmente hanno aumentato il gap negli ultimi giorni. Va comunque messo in evidenza che l’attuale Presidente del consiglio, interpreti più di ogni altro il populismo, inteso non come strategia politica, bensì come comunicazione prettamente elettorale. Gli italiani volevano un segnale dalla politica e dal governo? Pronti gli 80€. Troppi politici? Taglio delle poltrone degli enti provinciali e proposta di modifica del Senato. Il senso del “Non va bene niente” dell’immaginario collettivo, non viene interpretato come “cambiamo tutto”, ma come proposte concrete per andare a cancellare l’idea dell’immobilismo della politica degli ultimi anni. Difficile contraddire chi sostiene che domenica non abbia vinto il PD ma abbia vinto Matteo Renzi, l’uomo solo al comando. Più facile capire chi invece ha perso: tutti, ma proprio tutti. Con quelle percentuali plebiscitarie per i democratici, era difficile prevedere il contrario, ma sono le varie sfaccettature che fanno la differenza.
La compagine pentastellata è regredita rispetto alla tornata elettorale 2013, ma la sconfitta non è tanto quella elettorale, bensì quella mediatica di aver annunciato non solo un sorpasso che non c’è stato, ma di essersi ritrovati quasi dimezzati come forza politica rispetto a quella principalmente avversa. Forza Italia ha dimostrato la sua debolezza nell’avere un leader in discesa, frutto di quella condanna che per anni aveva garantito non potesse arrivare, e forse, per la prima volta mostratosi politicamente troppo “vecchio” in contenuti e propaganda rispetto agli sfidanti, tutti. La Lega Nord, non perde ma non eccede. Tiene, ma tutto sommato visto anche il cambio di leadership ci si aspettava di più. NCD-UDC superano lo sbarramento ma sono sotto la media prevista dai sondaggi e ridotti a minima minoranza nell’alleanza di governo. La sinistra più radicale festeggia il 4%, ma vista la figura di Tsipras, l’inclusione di molti rappresentanti del mondo civile nelle liste e l’apporto al movimento di SEL, difficile parlare di successo visti i numeri dei voti assoluti, praticamente uguali rispetto a quelli del 2013.
PD AL 40% E LA RESPONSABILITA’ DI RENZI
Dopo il “botto” di domenica, sono in molti quelli che ricordano la frase di Renzi durante la prima campagna delle primarie del 2012, quando affermava: “Il Pd a cui noi puntiamo è un partito che può arrivare al 40%, il loro è un Partito Democratico che ben che vada può arrivare al 25%”. Difficile sapere se realmente credeva fosse così. Quasi impossibile che fosse convinto ci potesse arrivare in così poco tempo. Adesso, come lui stesso ha cinguettato su Twitter appena dopo i risultati, gli stati d’animo sono: “Commosso e determinato”. In realtà, come sembra, l’elettorato ha conferito al Presidente del consiglio l’investitura elettorale che mancava, ma adesso è il momento di fare anche i conti con il peso della responsabilità di questa percentuale. Qualcuno commentava in vari editoriali, che la DC con questi numeri è durata al potere per quarant’anni, domandandosi se l’era Renzi, come è stata quella Berlusconi possa protrarsi per i prossimi venti. Difficile saperlo. Più facile è sottolineare che l’ex sindaco di Firenze ha un’occasione storica, adesso, dopo le europee ancor più di prima: quella di tentare di cambiare il Paese.
Ci riuscirà? Difficile dirlo ad oggi; visti i suoi predecessori – DC e Berlusconi – l’esito non appare scontato, almeno in positivo, ma il format politico proposto da Renzi è di quelli di nuova generazione, come tutto il resto: fare, indipendentemente dai giudizi di esperti e tecnici. Funzionerà? Se elettoralmente sembra si sia aperta la stagione della Terza Repubblica italiana, sarà il caso di iniziare a capire anche quali siano i meccanismi e le strategie politiche del nuovo sistema politico che questa classe dirigente vorrà applicare.