Riceviamo e volentieri pubblichiamo
In soli due giorni, il «Contratto per il Centrodestra» ha raccolto oltre 500 firme. Questo successo impone fin d’ora qualche riflessione supplementare, per rispondere alle inevitabili perplessità e critiche che si sono levate nei confronti di quest’iniziativa, da taluni bollata come perdente in partenza perché priva di una figura di riferimento già nota all’opinione pubblica.
In primo luogo, Renzi è stato eletto tramite primarie: non è stato teletrasportato da un’altra dimensione, né è l’artefatto di qualche miracoloso rito propiziatorio. Non è dunque chiaro a che cosa si riferisca chi invoca la presenza di un leader à la Renzi come condizione indispensabile e antecedente alla convocazione di una Leopolda Blu. Di grazia, da dove dovrebbe magicamente spuntare un nuovo leader per il centrodestra? E attraverso quali modalità? E ancora: com’è possibile misurare le capacità e il carisma di potenziali nuovi leader se non si creano, anzitutto, spazi di confronto e di competizione? Una Leopolda Blu è proprio questo. Non un evento di consacrazione dell’esistente, bensì uno sguardo intraprendente – chissà, per qualcuno forse pure un po’ insolente – al futuro. Non si tratta dell’ennesimo esperimento di fusione fredda di sigle e partiti, o una superficiale passerella volta a soddisfare l’ego di qualche anima bella. È piuttosto un’occasione, ormai irrinunciabile e irrimandabile, per aggregare idee e persone che sentono il bisogno di riscrivere il libro del centrodestra con parole più adatte ai tempi, senza timore di un civile confronto anche da posizioni culturali e filosofiche diverse, senza chiudersi in recinti ideologici che preludono a un’inevitabile ghettizzazione.
Un’occasione «inclusiva», trasversale ai partiti, non dettata da presunte superiorità antropologiche, e che mette da parte personalismi e protagonismi. La priorità è innescare un processo che possa gradualmente portare all’individuazione di contenuti condivisi e nuove leadership, e alla costruzione di una comunità dinamica che spezzi l’attuale immobilismo. Per fare tutto ciò, non è necessario, come taluni sostengono, avere la benedizione di un partito già strutturato: abbiamo l’ambizione di costruire il futuro, non di cristallizzare il presente. Chi sceglie d’ignorare o tutt’al più deridere – per convenienza o, più spesso, per semplice pigrizia – questa possibilità sta, di fatto, accettando che il centrodestra rimanga prigioniero di cerchi magici e imposizioni dall’alto, destinato a vivacchiare in uno spazio sempre più angusto tra Renzi e Grillo.
Sia chiaro: nessuno ha intenzione d’imbastire pubblici processi, magari in Rete. L’attuale centrodestra somiglia fin troppo al Movimento 5 Stelle. Una Leopolda Blu non può certo essere il palcoscenico di rese dei conti, o inserirsi nel deleterio percorso costellato di lacerazioni e guerre interne che ha distrutto la vocazione maggioritaria del fu Popolo della Libertà, e cui non si può continuare ad assistere impotenti. Ancor meno si può restare indifferenti di fronte all’OPA lanciata da Salvini verso Forza Italia: una leadership non può divenire oggetto di baratti improvvisati. La volontà è di portare un rinnovato entusiasmo come antidoto alla rassegnazione di vedere un centrodestra anestetizzato che rischia d’abituarsi alla sconfitta, un po’ come quelle squadre blasonate che una volta trionfavano in Italia e in Europa e ora arrivano a metà classifica. Insomma, il simbolico calcio d’inizio di una partita che sarà tutta da giocare. Senza dubbio, bisogna armarsi di volontà, di coraggio e anche di una buona dose d’umiltà: non sarà una passeggiata.
C’è un popolo, alternativo alla sinistra e stanco dei giochi di palazzo e delle beghe di partito, che desidera un’area liberal-conservatrice forte e aperta alla discussione. A questo popolo vogliamo dare voce. A questo popolo chiediamo d’uscire dalle proprie stanze e partecipare. Il primo passo è apporre una firma al Contratto per il Centrodestra. Se sarà Leopolda Blu, oppure qualcos’altro con diverso nome, non importa. L’importante è iniziare, e avere chiara la meta, ricordando una celebre massima di Winston Churchill: «Prima siamo noi a dare forma agli edifici; poi sono questi a dare forma a noi».