Skip to main content

L’epopea della vera austerità berlingueriana

Roma, 15 gennaio 1977: davanti agli intellettuali riuniti da Giorgio Napolitano e Aldo Tortorella al Teatro Eliseo, Enrico Berlinguer pronuncia il suo celebre discorso sull’austerità. A trent’anni dalla scomparsa del grande leader comunista, credo che esso non meriti né le letture apologetiche né le stroncature pregiudiziali che talvolta si ascoltano in queste ore.

Va ricordato, anzitutto, che la parola d’ordine dell’austerità viene lanciata in un Comitato Centrale del Pci nell’ottobre 1976, dove il gruppo dirigente di Botteghe Oscure accoglie l’esigenza – avanzata dal monocolore Andreotti – di misure deflazionistiche, purché nel segno dell’equità sociale. I temi chiave della sfida berlingueriana sono già chiaramente definiti: sacrifici, buongoverno, questione morale.

Questi temi riflettevano un duplice convincimento: da un lato, che il fenomeno della corruzione costituiva ormai il tratto distintivo del sistema di potere democristiano; dall’altro, che la difesa degli interessi dei lavoratori dipendenti poteva non coincidere con gli interessi generali del Paese.

Solidarietà nazionale e rigorismo riformatore, dunque. Un binomio che però starà in piedi a fatica. Per esempio, in nome del riequilibrio dei conti pubblici il Pci chiede alla classe operaia un rigido contenimento – per oltre un triennio – delle sue rivendicazioni salariali, senza nel contempo esigere la riforma del sistema fiscale, pur considerato allora tra i più ingiusti e inefficienti dell’Europa occidentale.

Si è obiettato che l’austerità berlingueriana non era una ricetta economica, ma un progetto di società. È vero, ma forse è proprio la sua singolare miscela di togliattismo e salveminismo a spiegarne tanto l’iniziale successo d’immagine, quanto la successiva disfatta politica.

Infatti, se in un primo momento il suo profilo moralizzatore riuscirà a intercettare gli umori di ceti medi stanchi della Dc, le scelte economiche e sociali in cui finisce per concretarsi gli alieneranno le simpatie di settori ragguardevoli dei ceti popolari.

In altri temini, il combinato-disposto tra denuncia della corruzione imperante e politiche deflattive, invece di tagliare le unghie alla Democrazia cristiana finirono con l’indebolire la forza contrattuale del movimento operaio.

Se qualcuno oggi pensasse che quella denuncia è condizione necessaria e sufficiente per neutralizzare Beppe Grillo e per sbarazzarsi definitivamente di Silvio Berlusconi, è avvertito.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter