Riceviamo e volentieri pubblichiamo
A Doha, in Qatar, è in corso da alcuni giorni il 38° Comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Si tratta della riunione annuale dell’organo di governo della Convenzione UNESCO sul patrimonio culturale e naturale mondiale, siglata nel 1972 e ratificata da 191 paesi (l’Italia ne è parte dal 1977).
Ogni anno questo Comitato, composto da 21 paesi eletti ogni quattro anni dai 191 Stati parte della Convenzione, decide chi merita il “bollino” dell’UNESCO, quale sito ha i requisiti per diventare un patrimonio dell’umanità. Ciò avviene al termine di lunghi processi di valutazione svolti da organi indipendenti (l’ICOMOS per le candidature culturali e l’IUCN per quelle naturali) che poi trasmettono al Comitato dell’UNESCO un parere favorevole o contrario all’iscrizione del sito nella prestigiosa Lista. Un sito per entrare nella Lista dell’UNESCO deve dimostrare di essere unico nel suo genere, in tutto il mondo, di non avere equali.
LA CANDIDATURA DI LANGHE-ROERO E MONFERRATO
Dal 1972 ad oggi sono stati iscritti 982 siti, di cui 193 naturali, 760 culturali, 29 misti. Di questi 49 sono definiti “in pericolo” mentre 2 sono stati cancellati dalla Lista (la città di Dresda, in Germania, e il santuario Oryx dell’Oman). L’Italia conta, fino ad ora, 49 siti nella Lista dei patrimoni dell’umanità. Si tratta di un record mondiale che consente al nostro paese di essere percepito in ambito unescano quale vera e propria potenza culturale.
Qui a Doha, in un contesto climatico molto difficile (44 gradi all’esterno, 10 gradi nell’auditorium del convention centre che ospita il Comitato), è ora in corso il negoziato che dovrebbe condurre l’Italia ad ottenere il suo 50° sito: il paesaggio vitivinicolo delle Langhe-Roero e Monferrato. Si tratta di una candidatura avviata circa dieci anni fa e che ha ottenuto una prima bocciatura nel 2011 durante il Comitato di San Pietroburgo. Negli ultimi due anni, il dossier di candidatura è stato riscritto per intero e sono state valorizzate le componenti agricole del sito. Se, come tutto sembra ipotizzare, il Comitato di Doha iscriverà il paesaggio vitivinicolo del Piemonte, per l’Italia non solo sarà rafforzato il proprio record mondiale per i siti dichiarati patrimonio dell’umanità, ma avremo per la prima volta un simile riconoscimento per un paesaggio rurale. Fino ad ora, infatti, l’Italia non aveva mai candidato (e quindi iscritto) siti caratterizzati per la propria dimensione agricola (vitivinicola in questo caso): in tal modo il “bollino” dell’UNESCO certificherà anche il ruolo di fondamentale sentinella per la tutela del paesaggio svolto dai nostri agricoltori, ribaltando diversi luoghi.
Le Langhe, il Roero e il Monferrato hanno lavorato a questo dossier con molto impegno e fatica, per quasi dieci anni.
IL VALORE DEL RICONOSCIMENTO UNESCO
Il primo motivo perché una comunità desidera ottenere il riconoscimento dell’UNESCO è legato, ovviamente, alla visibilità. L’UNESCO accende un riflettore su un sito iscritto. Uno studio condotto dalla Università IULM di Milano, nel 2011, su un campione composto da cittadini italiani di età compresa tra i 18 e i 64 anni, evidenzia come il 98% degli intervistati conosce l’UNESCO, e di questi il 77% sa indicare quali siano le attività che svolge l’Organizzazione internazionale. Cosa ancor più importante che emerge dai dati è che la reputazione dell’UNESCO appare molto alta e diffusa: il livello di fiducia è altissimo per il 66% degli intervistati, la percezione di efficienza lo è per il 65%, mentre il 70% considera l’UNESCO un centro di eccellenza. Per il 75% degli intervistati il marchio UNESCO ha una rilevanza e un’importanza nel promuovere iniziative culturali, mentre il 60% ritiene che il marchio UNESCO dia un valore aggiunto a tali attività in termini di prestigio e reputazione, soprattutto nell’ambito dei beni culturali, della promozione turistica e territoriale, dell’editoria artistica e culturale. Ciò vuol dire che il brand UNESCO può essere un fattore decisivo di sviluppo turistico e di promozione territoriale. Tuttavia ulteriori ricerche svolte dall’Università Unitelma Sapienza e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo evidenziano come l’iscrizione di un sito nella lista dell’UNESCO non sia in grado -di per sé- di creare effetti economici immediati per il territorio, in quanto sono necessarie azioni e investimenti condotti dagli stakeholder locali quanto meno per far sapere, nel mondo, che il sito ha ottenuto questo prestigioso riconoscimento. L’inserimento di un bene nella Lista Unesco è, infatti, condizione necessaria ma non sufficiente per attivare processi di valorizzazione turistica di un territorio.
Vi è poi un secondo motivo – non certo in ordine di importanza – che attiene alla tutela del territorio. Un sito che diventa patrimonio dell’umanità, impegna tutta la comunità internazionale a prendersene cura, a preoccuparsi per lo stato di conservazione e di integrità del bene e ad intervenire, se del caso, per salvaguardarlo. Proprio perché l’inserimento di un sito nella Lista dell’UNESCO accende, come detto, un riflettore mondiale su quel sito, i territori vogliono ottenere il riconoscimento perché sanno che in questo modo saranno messe in sicurezza le loro tradizioni, le loro identità, la loro cultura. L’UNESCO è divenuto così uno strumento efficace di contrasto ai fenomeni degenerativi connessi ai processi di globalizzazione.
Non solo: negli ultimi anni, in ambito UNESCO si sono trasferiti i contrasti più radicali presenti nella comunità internazionale. In particolare da quando la Palestina è stata ammessa, come Stato indipendente, tra gli Stati parte di questa Convenzione (correva l’anno 2012 e la Palestina non era stata ancora riconosciuta come osservatore dalle Nazioni Unite), l’UNESCO si è trasformato in un e vero e proprio campo di battaglia o, secondo un diverso punto di vista, nel luogo di compensazione delle diversità etniche, religiose, linguistiche.
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
L’Unesco è divenuto così uno straordinario osservatorio di politica internazionale, cui deve fare riferimento chiunque si interessi a queste tematiche.
La prova di ciò arriva proprio dal Comitato in corso a Doha. Ieri pomeriggio era in discussione la candidatura del paesaggio olivicolo e vitivinicolo di Battir, un villaggio a sud di Gerusalemme. L’organo indipendente di valutazione, l’ICOMOS, aveva espresso un parere radicalmente contrario, non avendo evidenziato il rispetto di nessuno dei requisiti richiesti dall’UNESCO per l’iscrizione nella prestigiosa Lista. In effetti, le immagini proiettate nei grandi schermi del convention center di Doha, mostravano un territorio interessante ma non particolarmente bello né, soprattutto, unico; all’opposto, come evidenziato dall’ICOMOS, lo stesso identico paesaggio è rintracciabile in tutti i paesi del Mediterraneo e quello candidato dalla Palestina non risultava caratterizzato dal c.d. “oustanding value” ovvero dal valore universale che dimostra l’unicità, nel mondo, del bene candidato. Ebbene, dopo che l’ICOMOS ha concluso la presentazione del proprio parere, i 21 Stati membri del Comitato del Patrimonio Mondiale hanno contestato le conclusioni negative dell’organo di valutazione, arrivando a ribaltare la decisione ed iscrivendo il sito nella Lista dell’UNESCO. Ciò è avvenuto al termine di un estenuante negoziato conclusosi con un voto segreto (richiesto da Germania, Finlandia e Croazia) che ha visto 18 paesi in favore dell’iscrizione e 3 contrari. Ma ciò che ha colpito di più chi scrive, è il fatto che nessuno paese membro del Comitato sia intervenuto sul merito della candidatura, mentre tutti sono intervenuti sulla situazione di “pericolo permanente” in cui si troverebbe la Palestina a causa dell’ “invasione” israeliana. Per questo motivo il sito andava iscritto: per obbligare la comunità internazionale ad intervenire nel caso in cui Israele avesse proseguito nella costruzione di nuovi insediamenti in questi territori. Al termine della votazione, la delegata israeliana ha preso la parola per contestare, ovviamente, la decisione e il metodo seguito, parlando di “giorno nero” per la comunità internazionale. L’intervento israeliano è stato seguito da numerosi brusii della platea e da una piccata risposta della presidente del Comitato, la Sheikha Al Mayassa Khalifa Al Thani, moglie del sovrano del Qatar, che ha invitato Israele a rispettare gli obblighi della comunità internazionale, tra le ovazioni della platea.
Simile, per certi versi, anche la decisione del Comitato, intervenuto pochi minuti fa, di iscrivere la città di Erbil, in Iraq, nella lista dei beni patrimonio dell’umanità. Anche in questo caso l’Icomos aveva dato un parere contrario. Il Comitato, questa volta unanime, ha ritenuto invece di iscrivere il sito per responsabilizzare tutti i 191 Stati parte della Convenzione alla conservazione di un sito che rischia di essere distrutto a causa della nuova guerra civile in corso in Iraq.
IL BOLLINO UNESCO
Pur da queste poche battute, si comprende come sia importante ottenere il “bollino” dell’UNESCO: a livello nazionale distingue i beni culturali e naturali presenti in un paese, segnalandone le eccellenze e creando, di fatto, beni di serie A, da visitare assolutamente, e beni di serie B; a livello mondiale impegna lo Stato a salvaguardare il sito, dovendone rendere conto, quanto meno ogni cinque anni, a 191 Stati. E’ davvero così importante chiamarsi Unesco! D’altronde già Miss Gwendolen Fairfax, nella commedia di Wilde, ce lo aveva spiegato: il nome fa la differenza, per questo è così importante chiamarsi con un nome “che produce delle vibrazioni e ha un suono che scalda il cuore a sentirlo”. Unesco sembra essere quello giusto.
Pier Luigi Petrillo è professore associato di Diritto comparato, Unitelma Sapienza, Roma. Dal 2006 rappresenta il governo italiano in tutti i negoziati internazionali in ambito UNESCO. Ha coordinato le candidature delle Dolomiti, delle Isole Eolie, della Dieta Mediterranea e, dal 2011, dei paesaggi vitivinicoli delle Langhe-Roero e Monferrato).