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Livorno e la fine ingloriosa di molte storie

La caduta della fortezza di Livorno conclude miseramente la quasi secolare storia del partito comunista di Antonio Gramsci e Amadeo Bordiga. Umilia il mantra della diversità antropologica e dell’unità delle sinistre che persisteva dal 1946. Determina la fine politica del postcomunismo persistente oltre il 1989. Ridimensiona il velleitarismo rifondarolo. Ridicolizza lo stesso nuovo Pd: quello delle primarie vinte brogliosamente col voto di minorenni ed extraco­munitari valorizzati col voto di scambio e gli stessi apporti di vecchi cattolici, più di destra che di sinistra, ma espostisi sfacciatamente e baldanzosamente.

Livorno è ora l’emblema di un’Italia che si autocelebra persino scomodando il D-Day della Normandia (che è invece tutt’altra storia di rifondazione democratica), ma poi si consegna agli epigoni di un antipartitismo e di un antiparlamentarismo ormai fuori controllo. Il crollo della partecipazione rispetto al primo turno del ballottaggio è un sonoro schiaffo ad una corruzione che non implicava solo i politici marci, ma la presunta società civile ai livelli più alti della magistratura e di corpi cui lo Stato affida i cordoni di una fiscalità elastica: amica degli amici, nemica del cittadino comune. In proposito Renzi prima ha fatto il furbetto negando il coinvolgimento di elementi del Pd. Poi ha esposto alla ghigliottina mediatica anche il tenue garantismo di cui menava un tempo vanto. Infine pretende che l’Italia del futuro sia fatta a propria somiglianza e col veleno che diffondono le sue femmine d’assalto quasi fossero le grandi sacerdotesse di una religione della bontà e del futurismo demagogico che solo esse conoscono, con troppa disinvoltura e supponenza.

Dal punto di vista politico, la caduta della fortezza di Livorno è diventata l’emblema di uno sgangherato turismo culturale che però nessuno è ora più in grado di controllare. Segno che, dopo il comunismo blindato burocra­ticamente e corporativamente per un secolo scarso, non circolando più da tempo sul lungomare labronico i Ciano e camerati, ora c’è di peggio: il grillismo vernacolare, la ribellione allo stato puro, la dilapidazione d’ogni reminiscenza del più generoso anarchismo, le beffe saporose al cacciucco, un portualismo senza dignità. Povera Livorno. Povera Italia renziana.

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