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Meglio il Democratellum (corretto) dell’Italicum

È un vero peccato che i grillini abbiano scelto di salire sull’autobus della riforma elettorale solo adesso. Perché la loro proposta non è da gettare alle ortiche. È comunque quella che più si avvicina al modello spagnolo, il quale è il sistema proporzionale dai più forti effetti maggioritari. Lo riassumo sinteticamente.

In Spagna i 350 deputati del Congresso (cioè della Camera che eprime la fiducia) vengono eletti in 50 circoscrizioni che coincidono con le sue 50 province. Esse eleggono da 1 deputato (solo a Melilla e Ceuta) fino agli oltre 30 di Madrid e Barcellona. La media è di sette seggi.

C’è dunque uno sbarramento implicito molto consistente (la legge prevede anche una soglia formale di sbarramento del tre per cento a livello circoscrizionale) che, insieme alla regola d’Hondt per la conversione dei voti in seggi (che qui non è possibile illustrare per ragioni di spazio) e al mancato recupero nazionale dei resti, tende a sovrarappresentare le formazioni più grandi a scapito delle più piccole.

Questo modello riduce la frammentazione partitica e favorisce l’aggregazione di forze politiche omogenee. Nel contempo, però, non penalizza le liste regionali i cui consensi sono concentrati in specifiche circoscrizioni. Va aggiunto che i cittadini votano sulla base di liste bloccate, senza voto di preferenza (che del resto è ignoto a tutte le maggiori democrazie occidentali). Ma il numero molto basso di candidati che compongono le liste consente un buon rapporto di conoscenza e di relazione tra i candidati e gli elettori.

Ora, proviamo a immaginare l’importazione di questo modello in Italia. Anzitutto,  per applicarlo non bisognerebbe costruire nuovi collegi elettorali (basterebbero le province esistenti). A parte l’idea stravagante della preferenza negativa (che potrebbe paradossalmente incentivare un voto di scambio alla rovescia), il “Democratellum” dei pentastellati non sarebbe poi incompatibile con la previsione di  un premio di maggioranza in seggi per la lista (o coalizione di liste) che ottiene il 40 per cento dei voti; oppure, nel caso in cui nessuna raggiunga questa percentuale, un turno di ballottaggio tra le due liste più votate.

Sarebbe comunque un compromesso tra principio di governabilità e principio di rappresentanza ben più dignitoso di quello propinatoci dal pastrocchio che si chiama “Italicum”. In politica, “Pacta servanda sunt” solo se conviene al Paese, non a Matteo Renzi, Silvio Berlusconi o Beppe Grillo.

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