La Milano da mangiare dopo la Milano da bere. In una parabola che va dagli anni Ottanta fino ai Duemila, un’oligarchia fondata sul cemento ha conquistato la capitale economica del paese.
Nascosta dietro invisibili maschere, confusa tra le pieghe di altri gruppi di potere, si è imposta con forza, diventando proprietaria di enormi tesori. Questa volta non si tratta di astratti flussi di denaro o impalpabili capitali, ma di cose vere, reali, che hanno concorso e concorrono a decidere il futuro di una cittadinanza.
L’OLIGARCHIA DEL MATTONE
L’oligarchia del mattone ha saputo essere prepotente e ingorda. In città, l’ultima parola è quasi sempre rimasta a loro: una manciata di costruttori, immobiliaristi, palazzinari, a costituire un sistema concentrico in grado di dettare la linea a scapito di chiunque altro. La politica locale è stata spesso succube o complice, i cittadini impotenti, le banche conniventi. In questo libro è raccontata la storia di chi, privo di scrupoli, ha comandato e comanda nella spartizione del territorio milanese e delle sue vicinanze, di chi ha messo le mani su quartieri del centro e delle periferie, di chi ha disegnato la rivoluzione urbanistica di immense aree ex industriali, promettendo o realizzando immaginarie città nella città.
Accanto alla Milano della moda, del design, della Borsa, ecco emergere le luci e le ombre di un empireo di star del cemento capace di incidere dappertutto il proprio nome: da vie marginali a piazze superlusso, da case popolari a palazzi chic e grattacieli, da obbrobri architettonici ad avveniristiche strutture. Un teatro di febbrili cantieri e vertiginose compravendite da cui si è sviluppato un gigantesco movimento di denaro, pagato in ultima istanza da ignari acquirenti finali, attratti all’investimento creduto più sicuro.
IL RUOLO DI SALVATORE LIGRESTI
Non si può comprendere l’oligarchia del mattone a Milano se non si comprende chi è stato ed è Salvatore Ligresti. Re assoluto nella metropoli di vetro e acciaio, ha cavalcato per quarant’anni un impero immobiliare senza guardare in faccia a nessuno. Ha costruito e investito ovunque, riverito e ammirato dall’alta finanza e dai partiti tutti, da quello socialista degli anni pre-Mani pulite, a quello di Silvio Berlusconi, suo collega palazzinaro a Milano, quando l’ascesa del Cavaliere è solo agli albori.
La presa di potere di Ligresti e il controllo sulla città, termometro di un anomalo stato di sudditanza da parte delle istituzioni, per decenni hanno condizionato il destino del cemento milanese, non di rado in barba a regole e leggi. Se ne occuperà molto la giustizia: Ligresti sarà accusato, incarcerato e processato diverse volte, con assoluzioni ma anche pesanti condanne.
GLI ANNI DUEMILA
Negli anni Duemila, l’eclissi del padrone di Milano lascerà il potere sull’urbanistica nella disponibilità di pochi altri eredi; sebbene alcuni di loro siano sforniti di credenziali adeguate, le principali banche, ingolosite dai prezzi al rialzo delle costruzioni, apriranno comunque i rubinetti del credito o diventeranno soci nelle imprese, in una spirale di conflitti d’interesse. Anche le cooperative rosse, ma soprattutto le aziende vicine a Comunione e liberazione, piuttosto influente in città e in regione, parteciperanno volentieri al banchetto edile.
Le giunte comunali di centrodestra elargiranno favori con generosità: se in tanti vorranno approfittarne, sarà di nuovo un numero ristretto di soggetti a spartirsi la torta che conta. Con la riqualificazione di aree dismesse e la disinvolta speculazione, si amplieranno le mire su aree come Bicocca, Garibaldi-Repubblica, Citylife, Porta Vittoria, Santa Giulia, fino all’ex Falck di Sesto San Giovanni. In alcuni casi, anche a causa del mercato immobiliare che nel frattempo è piombato nella crisi, saranno guai: crac aziendali, dissesti finanziari, indagini della magistratura e processi. Sia pure in uno scenario in cui hanno giocato e giocano un ruolo non secondario scelte politiche inopportune, inesperienza, errori strategici e, talvolta, una certa dose di sfortuna, il tarlo dell’illegalità s’insinuerà fino a minare alle radici il sistema.
IL CEMENTO COME COLLANTE
In un sovrapporsi di ricatti e miserie che si credevano sconfitte o almeno ridotte dopo Tangentopoli, l’edilizia tradirà una sfacciata debolezza in materia di gare, concessioni e appalti pubblici: molte pratiche appariranno pervase da corruzione e malaffare, il cemento si rivelerà il collante tra la peggior politica e gli imprenditori più scorretti e sleali. Finiranno alla sbarra soprattutto esponenti del Pdl, ma anche Filippo Penati, leader locale del Pd.
L’EXPO
Il miraggio finale si chiama Expo 2015. Qui l’oligarchia del mattone rimescolerà le proprie carte, insieme ai soliti schieramenti lobbistici, nella speranza di irrobustirsi e rilanciarsi. Grazie all’evento mondiale, infatti, l’urbanistica avrà a disposizione miliardi di euro a palate, con ricadute sull’intero mercato immobiliare.
L’obiettivo, non dichiarato, sembra quello di tenere Milano sotto scacco in un grumo di interessi e di poteri, così da mettere ancor più saldamente le mani sulla città.