Pubblichiamo un articolo dell’Ispi
Premessa storico-culturale essenziale. Quando parliamo del rapporto tra Brasile e calcio parliamo di qualcosa di molto diverso dal nostro intendimento europeo. Non parliamo solo di uno svago collettivo, un divertimento nazional-popolare, una passione della gente. Parliamo di una vera e propria espressione culturale e politica, di un elemento storicamente accertato di “nation building”. Mai dimenticarsi che il Brasile è stato molto prima potenza sportiva, e solo dopo potenza economica.
Il tema da cui partire è proprio questo. La storica assegnazione nel 2007 dei Mondiali di calcio e nel 2009 delle Olimpiadi è stata il modo scelto dalle classi dirigenti brasiliane per legittimare nel modo più forte possibile, sul piano simbolico e della comunicazione, la scalata del Brasile nel “ranking” delle economie mondiali. Un destino di potenza raggiunto dopo decenni di stagnazione, una promessa di prosperità futura fatta al proprio popolo. Ora la promessa è rovesciata, e la visibilità globale che questi due eventi portano con sé sta producendo effetti indesiderati. La gestione organizzativa dei Mondiali e delle Olimpiadi ci sta infatti facendo scoprire un paese molto diverso da quello reclamizzato dalle cronache globali in anni recenti.
Non è un problema di costi in sé, come tenderebbero a far credere molti commenti giornalistici. Il Pil brasiliano è stato nel 2013 di 2.435 miliardi di dollari, i costi organizzativi dei Mondiali invece ammontano a 14 miliardi di dollari, spalmati su più anni. Non si fallisce economicamente per aver ospitato un grande evento sportivo. Si rischia invece su un altro piano, quello della fiducia collettiva, del rapporto tra classi dirigenti e amministrazioni pubbliche e i cittadini.
Potremmo definirla la “trappola” dei grandi eventi sportivi. Più una nazione ha problemi pre-esistenti di corruzione, basso livello di efficienza amministrativa, ritardi infrastrutturali, problemi di criminalità, povertà diffusa, più l’organizzazione di un grande evento sportivo e la “pioggia” di risorse pubbliche collegata rischia di aggravare questi meccanismi, incentivando proteste e sfiducia collettiva, invece di portare delle eredità positive. Il Brasile aveva già dato un esempio di questa tendenza negativa con i Giochi Panamericani del 2007. Un altro esempio simile è stato quello dell’India con i Giochi del Commonwealth del 2010. Casi poco mediatizzati per suonare da campanello d’allarme.
L’unica eredità tangibile e positiva, se non altro per la felicità che regalerebbe a milioni di persone, sarebbe quella della vittoria del sesto titolo da parte della nazionale brasiliana. Per il resto possiamo a giusto titolo parlare di fallimento. Stiamo per vivere i Mondiali più costosi di sempre. I costi finali sono triplicati rispetto a quelli di previsione, grazie anche al potere di corruzione all’opera su ampia scala. Solo per dare un esempio, è stato calcolato che il costo medio per spettatore dei nuovi stadi sia stato di circa 6.000 dollari,
Moris Gasparri, fondatore del think tank Lo Spazio della Politica e studioso dei rapporti tra sport, politica ed economia