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Pd, tutti dossier su cui renziani e non renziani bisticciano

Le accuse a gufi e rosiconi celano alcune partite dirimenti in corso nel Pd. E non si parla di organigrammi interni al partito del Nazareno o dei gruppi parlamentari, sempre in bilico fra renzismo vero o di facciata.

GLI SPIFFERI DAL NAZARENO

I mugugni che in queste ore stanno esternando esponenti di vertice di partito, come quelli espressi al quotidiano La Stampa da Pierluigi Bersani ed Enrico Letta (che però su Twitter ha ridimensionato) sui risultati pessimi per i democrat in alcune roccaforti rosse come Livorno e Perugia, sono soprattutto le spie – secondo alcune interpretazioni renziane – di dossier su cui renziani e non renziani sono su opposte posizioni.

DOSSIER STATALI

Non c’è soltanto la prossima riforma della pubblica amministrazione, che il ministro Marianna Madia porterà nel prossimo consiglio dei ministri dopo un forcing asfissiante del premier Matteo Renzi, a destare perplessità in quel mondo Pd ancora legato a doppio filo alla Cgil capitanata da Susanna Camusso, che ha riversato sulla riforma in cantiere nell’esecutivo le medesime perplessità con cui anni fa la confederazione di corso Italia riservava ai proclami e ai provvedimenti dell’ex ministro azzurro Renato Brunetta. E in queste ore il Pd sta dando ascolto anche all’associazione che riunisce i dirigenti statali, che ha ieri ha presentato una serie di controproposte sulla burocrazia pubblica, mentre domani Cgil, Cisl e Uil terranno una conferenza stampa.

IL NODO DELLE ENTRATE

In queste ore c’è un’altra partita che scuote renziani e non renziani. E’ quella legata ai vertici dell’Agenzia delle Entrate, dopo l’uscita di Attilio Befera, nominato presidente del comitato audit dell’Eni, ora presieduta da Emma Marcegaglia e guidata dall’ad, Claudio De Scalzi. Al posto di Befera, il non troppo renziano ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan, medita – stando alle cronache – di nominare Marco Di Capua. Peccato che Di Capua, secondo il giudizio dei renziani, è ritenuto vicino a Befera, essendo stato il suo numero due, e dunque a Giulio Tremonti. Peccato che Befera sia stato apprezzato e sostenuto ugualmente sia da Tremonti che dal suo predecessore, Vincenzo Visco, come ha più volte sottolineato lo stesso ex direttore generale dell’Agenzia delle Entrate.

CHI DOPO BEFERA?

Ma non di soli nomi si nutre la polemica e la diffidenza tra renziani e non renziani. Certo, ieri il quotidiano Repubblica ha scritto che il nome più gradito a Renzi per il posto di Befera sarebbe quello di Rossella Orlandi, toscana, attuale direttore generale delle Entrate in Piemonte. Ma più che altro sono i metodi che i renziani vorrebbe cambiare: non più atteggiamenti dimostrativi stile Cortina ma – sulla scia della politica dell’ex ministro Visco – allineamento e lavoro sulle banche dati per scovare gli evasori, che devono avere più paura delle banche dati che di qualche azione dimostrativa sotto l’occhio delle telecamere.

DOSSIER ILVA

Ma gli attriti fra renziani e non renziani riguardano anche un altro ambito: l’Ilva. La decisione del governo Renzi, appannaggio in particolare del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, di nominare come commissario dell’Ilva uno dei suoi consiglieri, ovvero Piero Gnudi, già ai vertici dell’Iri e poi anche ministro nel governo Monti, se è stata salutata con favore ad esempio dal Corriere della Sera in un pezzo positivo sul dorso economico di ieri del quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli, diverso è stato l’atteggiamento del concorrente Affari&Finanza, il supplemento economico e finanziario del lunedì del quotidiano la Repubblica diretto da Ezio Mauro. Secondo Repubblica, la nomina di Gnudi è anche una vittoria per Federacciai, la federazione confindustriale presieduta da Antonio Gozzi che aveva avuto qualche dissapore con il predecessore di Gnudi, Enrico Bondi, sostituito dall’esecutivo Renzi.

IL NODO DEL CONTENDERE

Secondo “Affari&Finanza”, Bondi ha commesso l’errore di “aver presentato un piano industriale che non piaceva ai Riva e ai vertici della siderurgia tricolore”. Uno dei motivi di attrito sarebbe stata la decisione del commissario Bondi di aver centrato il piano industriale dell’Ilva “sull’utilizzo del preridotto di ferro (un prodotto che abbatte drasticamente le emissioni) al posto dell’agglomerato di minerali e delle cokerie”.

IL COMMENTO DEL POCO RENZIANO MUCCHETTI

Ecco che cosa scrive sul suo blog Massimo Mucchetti, già editorialista del Corriere della Sera, ora senatore del Pd e presidente della commissione Attività produttive di Palazzo Madama: “Fuori dai denti: Gnudi è stato chiamato a fare da notaio per un accordo già preso con Arcelor Mittal (i cosiddetti partner italiani, tranne i Riva, sono in bolletta, e dunque non sarebbe serio considerarli più di tanto)? Oppure può ancora promuovere la ricerca della soluzione migliore che potrebbe venire anche da altri (faccio un nome a caso, dal gruppo indiano Jindal) che abbiano interesse a fare dell’Ilva l’avamposto della loro crescita globale e non una provincia da annettere a un impero da ridimensionare perché ormai troppo grande (l’Europa, Mittal in primis, conta acciaierie in eccesso per 23 milioni di tonnellate annue)”.


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