Cambia la prospettiva temporale di Matteo Renzi. Dopo i primi cento giorni con cui ha lanciato la sua azione di governo, il presidente del Consiglio ora ne chiede mille: “Ci prendiamo, dopo i primi 100 giorni più o meno scoppiettanti, un arco di tempo più ampio, di medio periodo, mille giorni, dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017”, dice dalla Camera dei deputati, dove ha illustrato le linee programmatiche della presidenza italiana del semestre europeo.
Perché questo nuovo orizzonte temporale? Sicuramente il premier si sente più forte. Quella che a febbraio era solo una scommessa spregiudicata ora gli appare una base solida su cui poter fare programmi a lunga scadenza. Merito del passaggio dalle urne, seppur europee, e dell’endorsement del 40,8% degli elettori. E di un equilibrio in Parlamento che appare sempre più favorevole all’esecutivo, anche grazie ai poteri di “Calamita” Renzi.
Il presidente del Consiglio poi sembra fare mea culpa. Il suo nuovo pacchetto di riforme, ha spiegato in Parlamento, rende giustizia alle critiche sulla mancanza di cornice complessiva del suo esecutivo: “Se non siamo riusciti a spiegare l’orizzonte di insieme vuol dire che la colpa è nostra”. Il segretario del Pd forse ha capito che per cambiare davvero l’Italia non basta un cronoprogramma a tappe forzate e con il piede schiacciato sull’acceleratore.
Quei 100 giorni di riforme, una al mese, hanno rischiato di ritorcergli contro perché come ha notato Guido Salerno Aletta nella sua analisi su Formiche.net, di quella tabella di marcia illustrata a marzo con le famose 32 slide de “La svolta buona” si sono perse le tracce. A ogni scadenza, i suoi detrattori lo attendevano al varco con gli occhi sull’orologio delle riforme.
Un intervallo di tempo triennale appare invece più ragionevole per realizzare l’ambizioso programma che ha in mente e per dimostrare, come ha detto oggi, che “il puzzle c’è”.